Oggi il verdetto dei grandi elettori che ufficializza Joe Biden come presidente degli Stati Uniti. Per Trump termina la battaglia legale, inizia quella politica. Intanto il Tesoro viene colpito da un maxi-attacco hacker. Il punto di Giampiero Gramaglia
Per Donald Trump, gli Stati Uniti rischiano di avere un presidente eletto “illegittimo”. Ma il voto dei Grandi Elettori del Collegio elettorale formalizza e ufficializza, oggi, la vittoria di Joe Biden nelle presidenziali del 3 novembre e chiude la partita su chi guiderà l’Unione dal 20 gennaio 2021: Biden dovrebbe ottenere 306 voti, contro i 232 di Trump.
In un’intervista alla Fox News, il presidente uscente, però, afferma: “Continueremo ad andare avanti nella nostra lotta”. Il magnate non ha la minima intenzione di ammettere la confitta: rilancia, in tv e su Twitter, le accuse di “elezioni truccate”, “le più corrotte della storia americana!”, enfatizzando come in alcuni Stati siano stati contati i suffragi di persone decedute – il che, inevitabilmente, avviene in tutte le elezioni -.
La Costituzione contempla il caso di ‘elettori infedeli’ fra i Grandi Elettori, ma il margine di Biden è tale da escludere sorprese. Tra i Grandi Elettori di questa tornata, nomi illustri, come Bill e Hillary Clinton nello Stato di New York, Stacey Abrams in Georgia e, fra i repubblicani, Kristi Noem, governatrice del South Dakota e possibile aspirante alla nomination repubblicana nel 2024.
I voti espressi in ogni Stato una volta contati e certificati saranno trasmessi al presidente del Senato, il vice-presidente Mike Pence. Le schede dovranno arrivare a Washington entro il 23 dicembre, mentre il conteggio ufficiale con la proclamazione del nuovo presidente e del nuovo vice-presidente lo farà in seduta plenaria il nuovo Congresso il 6 gennaio, tre giorni dopo essersi insediato. Tutto sarà allora pronto per l’Inauguration Day del 20 gennaio, quando Biden e Kamala Harris giureranno e si insedieranno alla Casa Bianca.
S’è intanto precisato il bilancio delle manifestazioni di sabato pro-Trump in molte città dell’Unione: violenze e scontri con contro-manifestanti; spari a Olympia, capitale dello Stato di Washington; diversi accoltellamenti; decine di arresti.
Le riunioni e il voto del Collegio elettorale coincide con l’inizio delle vaccinazioni anti-coronavirus negli Stati Uniti, dove la pandemia ha raggiunto, la scorsa settimana, un’intensità senza precedenti, con un milione di contagi in quattro giorni e oltre tremila decessi ogni 24 ore – una 11 Settembre ogni giorno -. Secondo i dati della John’s Hopkins University, a mezzanotte di ieri sulla East Coast, si contavano nell’Unione 16.253.000 contagi e oltre 299.000 decessi – oggi sarà superata la soglia dei 300 mila -.
In questo contesto, desta interrogativi la decisione, di cui dà notizia il New York Times, di mettere il vaccino subito a disposizione, oltre che del personale medico in prima linea contro la pandemia, dello staff della Casa Bianca, a partire dai funzionari più vicini al presidente. L’obiettivo è quello d’evitare nuovi focolai nella West Wing nelle ultime settimane dell’Amministrazione Trump.
La decisione rischia di lasciare nell’opinione pubblica l’impressione che la Casa Bianca ‘salti la fila’. Il vaccino sarà anche reso disponibile a tutte le alte cariche federali, per assicurare la continuità dell’Amministrazione: le ‘vaccinazioni eccellenti’ saranno scaglionate nell’arco di dieci giorni, così da monitorare eventuali effetti collaterali. L’intento è pure quello di ‘dare l’esempio’, contribuendo a diffondere la fiducia sulla sicurezza del vaccino.
Tutto ciò mentre l’Amministrazione statunitense è soggetta a un violento e diffuso attacco hacker – sarebbe il peggiore degli ultimi cinque anni -, con diverse strutture federali, fra cui i Dipartimenti del Tesoro e del Commercio e agenzie collegate alla sicurezza nazionale, prese di mira da pirati informatici legati a un governo straniero – i sospetti ricadono sulla Russia -.
La notizia dell’attacco arriva a meno di una settimana di distanza dall’allarme lanciato dalla Nsa, secondo la quale pirati informatici sponsorizzati dalla Russia stavano cercando di sfruttare le falle d’un sistema informatico largamente utilizzato dall’Amministrazione federale.
Polemica su dr. Jill Biden
A fronte di tutto ciò, sono solo una spigolatura le reazioni suscitate dal columnist Joseph Epstein che, sul Wall Street Journal di Rupert Murdoch, ha invitato la futura first lady Jill Biden a non fregiarsi più del titolo di dottore. “Madame First lady – Mrs. Biden – Jill – bimba”, esordisce l’articolo in cui Epstein chiede con condiscendenza alla moglie di Joe Biden d’abbandonare il ‘Dr.’ davanti al nome: “‘Dr. Jill Biden sembra fraudolento, per non dire comico”.
Le reazioni non si sono fatte aspettare: ironiche, secche, sdegnate, istituzionali e di donne comuni (e pure del marito, avvocato, della vice di Biden Harris). Epstein, un opinionista conservatore di 83 anni, non laureato, è noto per le opinioni antigay (reputa l’omosessualità “una maledizione”) e gli attacchi al politicamente corretto. Sostiene che l’appellativo di dottore dovrebbe essere riservato ai medici e nota che la Biden “non ha neppure un PhD”, ma solo un EdD, il diploma parallelo di chi – come 13 anni fa Jill – ha completato un dottorato in scienze dell’educazione.