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Recovery Fund e autonomia strategica (che non c’è). Parla l’amb. Stefanini

Con la Brexit, l’Italia ha bisogno di geometrie variabili per contare in Europa e trovare accordi come accaduto per il Recovery Fund in estate. E l’arrivo di Biden può riavvicinarla alla Germania. Parla l’ambasciatore Stefanini, senior advisor dell’Ispi e già consigliere diplomatico del presidente Napolitano

Per contare in Europa l’Italia ha bisogno della Germania e l’avvento dell’amministrazione Biden negli Stati Uniti potrà favorire un riavvicinamento tra Roma e Berlino. Ne è convinto l’ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già consigliere diplomatico del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e rappresentante permanente dell’Italia alla Nato, raggiunto telefonicamente da Formiche.net nelle ore del delicato Consiglio europeo dedicato al Recovery fund per analizzare il futuro dell’Unione europea e del nostro Paese.

Come si presenta l’Italia a questo vertice?

Per l’Italia è importante che il Recovery Fund sia approvato e che sia reso operativo nel più breve tempo possibile. La pandemia che ha ripreso vigore con le conseguenze che conosciamo ed è diventato urgente che questa solidarietà europea, che ha rafforzato il sentimento italiano di appartenenza all’Unione europea, si traduca in risultati tangibili.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si presenta a Bruxelles senza aver ancora incassato il voto del Parlamento sul Recovery fund. È un punto di debolezza?

È un punto di debolezza che può essere, come spesso accade, convertito in un punto di forza nella misura in cui la la mancanza di un voto del Parlamento italiano dimostra quanto la fragilità dell’intera costruzione possa emergere nel caso in cui il Recovery Fund continui a essere bloccato da altri fattori che in realtà non hanno a che vedere con il suo scopo principale. Cioè quello di dare una boccata d’ossigeno alle economie degli Stati membri colpite duramente dalla pandemie.

Quanto pesa la fine del semestre di presidenza tedesco e l’uscita di scena della cancelliera Angela Merkel tra pochi mesi? Anche questo ha influito sulla ricerca di un accordo con Polonia e Ungheria sul Recovery Fund?

La presidenza tedesca arriva al di sotto di quelli che erano i suoi obiettivi, non necessariamente per colpa di Berlino. Pesa l’andamento di due appuntamenti importanti: il primo è il bilancio, arrivato faticosamente e in ritardo; il secondo è il negoziato per la Brexit, i cui obiettivi iniziali non sono stati raggiunti. Il compromesso dell’ultima ora con Polonia e Ungheria è una testimonianza di quanto c’è di positivo nell’eredità di Merkel ma anche di quali siano stati i limiti della cancelliera, che in tantissime circostanze è stata artefice di soluzioni di compromesso e riconciliazione che sembravano impossibili. Di questo le va dato atto. Ma in tutte queste soluzioni non c’è mai stato quello slancio che ci si aspetta da una leader.

Non c’è mai stato?

Una sola volta. Nel 2015 con una posizione coraggiosa sul tema dell’immigrazione. Che però ha dovuto scontare sul piano interno. Il che, in un certo senso e a posteriori, giustifica la sua prudenza.

Quel coraggio l’ha provato a mettere in mostra il presidente francese Emmanuel Macron. Sarà lui a raccogliere l’eredità?

L’eredità della cancelliera tedesca può essere raccolta soltanto da chi ne prenderà il posto. E la Francia avrà sempre bisogno della spalla tedesca e del resto dei Paesi.

Altro tema del Consiglio europeo sarà la Brexit. Che cosa perde l’Italia con l’uscita del Regno Unito?

Sul piano degli equilibri all’interno dell’Unione europea l’Italia perde una spalla importante, anche alla luce del fatto che del triangolo con Francia e Germania è il vertice più debole sia a livello politico sia a livello economico.

Come può uscirne l’Italia?

Cercando geometrie variabili con Paesi come la Spagna o la Polonia, con però serie difficoltà. Con la prima c’è un rapporto a fasi alterne — dovremmo consolidare — ma c’è da sottolineare anche che spesso la Spagna ha preferito accodarsi a Francia e Germania anziché cercare un riequilibrio. La seconda, invece, in questo momento è un Paese spesso al margine del consenso. L’estate scorsa l’Italia è riuscita a uscire da questa situazione di debolezza trovando un accordo con Francia, Spagna e altri Paesi sul Recovery Fund inducendo la Germania a cambiare posizione. Dunque, si può fare. Ma è difficile.

La nuova amministrazione statunitense di Joe Biden potrà favorire un riavvicinamento tra Italia e Germania?

Sicuramente sì, perché l’Italia — ci piaccia o meno — per contare in Europa ha bisogno di una sponda americana. Un’amministrazione che ricucirà il rapporto con la Germania non ci metterà dunque dinnanzi a un bivio, come accaduto con quella Trump visto il suo atteggiamento ostile verso Berlino. Mi permetta di aggiungere una cosa.

Prego.

Dall’unità in poi, il problema dell’Italia è stato trovare un equilibrio tra la maggiore potenza continentale, cioè la Germania, e la maggiore potenza marittima e mediterranea, che fino alla Prima guerra mondiale era il Regno Unito e adesso sono gli Stati Uniti. Dalla seconda metà del XX secolo questo dilemma è stato superato con l’esistenza della Nato.

A proposito dell’Alleanza atlantica. Molto si parla in queste settimane di “autonomia strategica” europea. Quale orizzonte per l’Unione europea?

L’obiettivo deve essere quello di creare un pilastro europeo della Nato, ridiscutendo con gli Stati Uniti un peso maggiore nell’Alleanza e garantendoci, come Unione europea, capacità strategiche ci permettano di operare nel nostro vicinato anche senza Washington o con un suo appoggio minimo. Così, daremmo anche un contributo alla sicurezza degli Stati Uniti stessi “liberandogli” risorse sul quadrante del Pacifico. È una maniera di dividere l’onore del confronto con la Cina senza affacciarci sul Pacifico, che per la maggior parte dell’Europa è una sfida troppo avanzata.

Da dove partire? Dalla Libia, che ormai sembra nelle mani di Turchia e Russia?

Se non dalla Libia che è a un centinaio di miglia dalla coste italiane e quindi europee, da dove cominciamo? Se anche per la Libia dipendiamo dagli americani, di quale autonomia strategica stiamo parlando? Ormai l’autonomia strategica è diventata un coltellino svizzero multiuso per l’Unione europea.

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