Enrico Pandian ha dato vita a ben 18 aziende in diversi settori. Oggi Founder & CEO di FrescoFrigo, in questa intervista spiega i suoi ingredienti per il successo e alcuni scenari per il settore retail.
Enrico hai all’attivo 18 società fondate. Adesso sei alle prese con l’espansione di FrescoFrigo. Puoi raccontarci in sintesi, quali sono stati gli ingredienti per il successo e gli obiettivi che avete per il 2021?
Seguo molto i trend del momento. Sono nel settore del retail ormai da 7 anni, quindi la mia attenzione e la mia intuizione sono indirizzate in modo particolare su questo settore. Quello che sto vedendo è che il consumatore sta diventando sempre più pigro e vuole sempre più comodità. Quindi l’idea di FrescoFrigo è stata quella di portare ancora più vicino il prodotto al consumatore: nel momento in cui il consumatore ha lo stomaco che brontola, ordina con l’app e noi con FrescoFrigo portiamo un prodotto già pronto per essere mangiato. Il cibo fondamentalmente è diverso da qualsiasi altro prodotto perché è l’unico “oggetto” che ti metti nello stomaco, è pertanto fondamentale poter riconoscere la qualità di ciò che mangiamo.
La nostra idea in primis non è stata di produrre tecnologia (e quindi fare frigoriferi), perché a non non interessava essere produttori industriali ma creare l’infrastruttura: ovvero mettere i frigoriferi all’interno degli uffici. E questa intuizione ci sta premiando anche in un anno come questo, che è stato pessimo, dato che solamente nel 2020 abbiamo messo 200 frigoriferi nei luoghi di lavoro.
Durante la tua carriera imprenditoriale hai avuto un mentor. E in che modo sei riuscito a sviluppare le tue aziende. Attraverso investitori oppure anche con capitale proprio?
Il mio mentor iniziale è stato Marco Benatti, uno dei fondatori di Viriglio.it.
Successivamente ho sempre fondato startup con soldi miei, fino al 2014 quando ho creato Supermercato24, in cui ho investito 80k i primi 6 mesi. In seguito ho dovuto raccogliere soldi da fondi venture capital perché mi permettevano di scalare più velocemente.
La crisi che stiamo vivendo ha accelerato tutta una serie di cliché, fra cui quello del: Piccolo è bello. Perché non riusciamo a pensare in grande?
Penso che la nostra Nazione che è davvero la più bella del mondo. Si vive talmente bene che è difficile andarsene via. Tuttavia dobbiamo guardare ai numeri e non si può che constatare che il nostro mercato interno è piccolissimo. Abbiamo la fortuna di essere europei ed è una fortuna anche a livello di business. Una della principali sfide per l’imprenditore è non omologare il proprio prodotto nei diversi mercati, ma cercare tuttavia di cogliere le peculiarità di ogni cultura e cercare di adattare il proprio prodotto ai gusti e alle preferenze di un luogo.
Ritieni che questa crisi darà uno scossone alla classe imprenditoriale che è rimasta miope?
Penso che questo momento faccia emergere le differenze a tutti i livelli. Noi che lavoriamo nel digitale siamo avvantaggiati da crisi come l’attuale, in cui è stata congelata l’esperienza fisica di molti settori. Gli investimenti da fare devono essere infatti legati alla tecnologia. Se vogliamo guardare da una prospettiva differente questa pandemia, può sicuramente essere l’occasione per riprogrammarci.
Questa fase “sospesa”, in cui viviamo prevalentemente a casa, mi aiuta a pensare a modelli di business in grado di funzionare non appena tutto sarà finito. Sicuramente ci troveremo trasformati in molte delle nostre abitudini passate, qualcosa cambierà e anche se fosse solamente un 10/20% sarà comunque tantissimo in termini di business.
Dobbiamo farci trovare pronti, non dobbiamo stare fermi ad aspettare che l’emergenza passi perché nessuno arriverà ad aiutarci.
Il settore retail sta vivendo una completa rivoluzione. Come si trasformerà?
Il trend di trasformazione del retail era già iniziato prima. Secondo me ci saranno due clusterizzazioni: super lusso e super qualità, dedicati a poca gente che anche a pranzo farà un pranzo da 150 euro. E ci sarà poi tutto il resto, dove sarà preminente l’uso di robot, quindi verrà amplificata la robotizzazione di alcuni servizi per ridurre i costi di operation.
Nel sud Europa siamo abituati a uscire rispetto agli inglesi che mangiano un sandwich vicino alla scrivania. La delivery prenderà sempre più forza unitamente all’ecommerce.
Miguel Benasayag, intellettuale argentino, ha definito i nostri anni come l’epoca delle “passioni tristi”, come rassegnazione, noia, abulia.
Io vivo in una bolla che è fatta di 3/4k persone in Italia che si occupano di startup. Noi pensiamo positivo e spero che questa bolla si allarghi arrivando a 50k di persone perché è in questi momenti che bisogna capitalizzare. I maggiori investitori capitalizzano proprio in momento di down e non di high. Investire in momenti di high significa perdere i soldi dopo. Bisogna sempre pensare al prossimo modello di business senza mai perdere il coraggio.
In una recente intervista hai affermato che la gente tornerà a mangiare locale. Pensi che da questo momento di sofferenza si possa riscoprire una nuova narrazione per raccontare il nostro meraviglioso Paese?
Assolutamente sì e sempre di più. In Italia abbiamo i prodotti migliori ma la gente continua a mangiare prodotti importati dall’estero. Dobbiamo educarci a comprare locale, che è anche un modo per far crescere l’economia interna. Dobbiamo invertire la tendenza che si era innescata negli ultimi anni, iniziando a investire in una diversa narrazione del nostro Paese. L’economia di scala ci insegna che facendo conoscere maggiormente le nostre tipicità, porteremo a un maggiore consumo dei più i nostri prodotti, abbassando così anche i prezzi di molte eccellenze che oggi rimangono circoscritte a un consumo locale.