Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il Mes, la riforma e le giravolte politiche. Il commento di Cedrone e Triulzi

Di Carmelo Cedrone e Umberto Triulzi

Sarebbe stato meglio evitare una interminabile e pericolosa controversia tra chi è “a favore” o “contro” il Mes, con il rischio, nel caso di una bocciatura in Parlamento (il 9 dicembre prossimo) della riforma approvata dall’Eurogruppo, di vedere l’Italia isolata e in piena instabilità politica. Ecco perché secondo Carmelo Cedrone, coordinatore Laboratorio Europa/Eurispes e Umberto Triulzi, professore di Economia Internazionale alla Facoltà di Scienze politiche della Sapienza

Ancora si continua a mistificare e a polemizzare intorno al Mes. In Italia, per non farci mancare niente, abbiamo aggiunto una polemica nuova, surreale, circa l’opportunità di prendere o meno i prestiti messi a disposizione per la sanità. Così il Mes è diventato l’oggetto di giravolte politiche, senza però che all’opinione pubblica venisse spiegato con chiarezza l’oggetto del contendere. Perciò forse conviene ricordare brevemente perché è nato, cosa prevede e se è opportuno cambiarlo o meno.

Per quanto riguarda l’origine vogliamo ricordare che essa risale al 2 febbraio 2012 con un accordo intergovernativo sottoscritto da 17 Paesi dell’Unione. Ha avuto come progenitore due altri meccanismi precedenti, nati per far fronte alla crisi finanziaria scoppiata nel 2008, per sopperire anche ai limiti della Bce, prima che Mario Draghi lanciasse il Qe.

La prima versione dell’11.7. 2011 nasce male. Viene approvato con un nuovo Trattato, al di fuori di quello dell’Unione e dell’Eurozona, sulla falsariga del Fondo Monetario internazionale, come se i Paesi che condividono la stessa moneta fossero degli “estranei”. È concepito come un organismo “intergovernativo” al di fuori delle altre istituzioni europee, compresa la Bce. Sono valse a poco le osservazioni alla discussione del nuovo regolamento, partita nel 2019 e più volte rinviata. È arrivata in porto in questi giorni, quasi avvolta nel mistero, con i contenuti, solo parzialmente mutati, rispetto alla versione originale.

Infatti il meccanismo, così com’è rimasto, mira ad evitare il contagio di una eventuale crisi sistemica, senza però prevedere strumenti di prevenzione adeguati da mettere a disposizione degli Stati Membri dell’Eurozona in difficoltà. La concessione di prestiti, secondo l’art. 3, è prevista sotto rigide condizionalità, “under strict conditionality”. Resta il mandato di “prestare” a chi ha il debito “ritenuto” sostenibile secondo i parametri attuali, secondo “il punto di vista del creditore”. Praticamente il solo organo tecnico del Mes ha il potere di stabilire, in via autonoma, la solvibilità o meno di uno Stato, al di fuori di ogni controllo democratico e del “comune interesse dell’Unione”, così come previsto dal Trattato.

Se i parametri, controllati ogni 6 mesi, non vengono rispettati, la linea di credito può essere interrotta, a meno che il board decida il contrario. Sebbene sia scomparso l’obbligo di ristrutturare il debito “prima” della concessione dei prestiti, la sostanza di tale condizione rimane invariata. Infatti non si tiene in alcun conto il rischio temuto, fonte di speculazione, che fa perdere ai Paesi l’accesso al mercato e/o ne aumenta il costo, per cui un problema di liquidità provvisorio si potrebbe trasformare in insolvenza, rendendo più difficile l’accesso ai “prestiti precauzionali”, quelli capaci di evitare che si sviluppi una crisi finanziaria.

In poche parole questo Mes ed il nuovo regolamento che ne è scaturito, simile ad una banca d’affari, resta il figlio della politica di austerità e della politica di emergenza legata alla crisi finanziaria passata. Conserva la logica contenuta nel patto di stabilità. Di contro vi è stato inserito il “back stop”, cioè la garanzia di ultima istanza per il Fondo Unico di Risoluzione che interviene in caso di “fallimento” delle banche. Anche se questo potrà consentire di sbloccare una delle riforme dell’Eurozona rimasta in sospeso, appare un compito improprio rispetto a quello originario di salva Stati e non “salva banche”.

Naturalmente anche il nuovo Mes, come dicevamo, viene ancora mantenuto dentro un nuovo Trattato, al di fuori del Tfue a conferma del rapporto di sfiducia tra debitori e creditori che finora ha avvelenato il negoziato sulla Unione economica e monetaria. Un negoziato, anche questo, rimasto sospeso, ma che ha avuto una evoluzione imprevista, anche se sperata, durante la pandemia, attraverso la sospensione del Patto di Stabilità e la decisione di emettere titoli di debito europeo garantiti dal Qfp.

L’inizio di un nuovo percorso, ancora irto di difficoltà. Sicuramente, con la fine della pandemia, nessuno potrà pensare di tornare al punto di partenza, fermando gli orologi dell’Eurozona. Bisognerà trovare nuovi equilibri e nuove risposte. Bisognerà sicuramente cambiare il “patto di stabilità e crescita” in un “patto per la crescita, l’occupazione e la stabilità”, rimodulando gli attuali strumenti di intervento per i Paesi più indebitati dell’Eurozona. Inoltre non si potrà non tener conto del forte indebitamento in corso a causa della pandemia.

In questo ambito anche il Mes dovrà trovare una nuova collocazione ed una nuova funzione, con finalità diverse rispetto a quelle attuali. Dovrà svolgere un ruolo centrale all’interno dell’Eurozona, a sostegno delle politiche economiche dei Paesi membri finalizzate alla crescita e al contenimento del loro livello di indebitamento, rendendo “comuni” tali politiche, recuperando i limiti e le deficienze ancora presenti nell’attuale struttura della zona Euro. Ad esempio, potrebbe diventare il primo strumento di politica fiscale e di bilancio per l’Eurozona, visto che già può contare su un fondo base di circa 400 miliardi. Potrebbe emettere e/o acquistare titoli di debito comune e riassorbire parte di quelli detenuti dalla Bce. Ciò naturalmente comporta un cambio radicale del Mes, così come si configura oggi, a sostegno del completamento dell’Eurozona, anticipandone la riforma, ormai da tempo in attesa, anche per quanto riguarda il suo bilancio. Un’esigenza emersa già con la crisi precedente e rafforzata da quella attuale, che ha messo nuovamente in luce la necessità di ridurre gli squilibri e le disuguaglianze attraverso trasferimenti e non solo con debiti nazionali. Debiti ai quali va comunque trovata una risposta comune, che un Mes riformato è in grado di dare. Ciò vale in particolare per i debiti emessi per far fronte alla pandemia per i quali non sono previste condizionalità ma che tuttora, in assenza di una chiarezza di fondo sul ruolo del Mes post-Covid, non ha indotto nessun Paese membro ad attingere alle risorse messe a disposizione dal Fondo (240 miliardi di euro).

Tali riforme, non solo quella del Mes, vanno portate avanti con i Paesi che ne condividono obiettivi e linee prioritarie di intervento. Non è necessario che ci siano tutti, per evitare di bloccare, come sta accadendo per l’approvazione del bilancio 2021-2027, le attività dell’Unione europea.

In questo l’Italia, con le opportune alleanze, può dare un contributo importante mettendo sullo stesso tavolo, al momento dato, la revisione del patto di stabilità e crescita, la questione del debito ed il ruolo del Mes, come punti di forza che convergono e accelerano il completamento dell’Eurozona. Perciò sarebbe stato meglio evitare una interminabile e pericolosa controversia tra chi è “a favore” o “contro” il Mes, con il rischio, nel caso di una bocciatura in Parlamento (il 9 dicembre prossimo) della riforma approvata dall’Eurogruppo, di vedere l’Italia isolata e in piena instabilità politica.

Sembrerebbe più opportuno dare il consenso, ma allo stesso tempo avviare un deciso cambio di strategia per concordare una riforma del Mes sulla base delle tante proposte avanzate in sede internazionale (Blanchard, Paris-Wyplosz), europea (Buiter-Siber, Ceps) e nazionale (Minenna, Micossi), per pervenire a quella in grado di assicurare più obiettivi comuni. Come, ad esempio, l’acquisto da parte del Mes di una parte dei titoli sovrani oggi detenuti dalla Bce con conseguente riduzione del debito pubblico dei Paesi euro, l’allungamento delle scadenze di rinnovo dei titoli sovrani, la garanzia degli Stati membri sulle obbligazioni emesse dal Mes, il mantenimento della stabilità finanziaria nell’area Euro grazie all’allineamento degli spread relativi ai tassi dei Paesi più indebitati.

È un modo per uscire dall’angolo in cui l’Italia si è cacciata, stretta nella logica della inaffidabilità e del “prendere o lasciare”. Nel frattempo occorre presentare un piano di attuazione del “Recovery Fund” all’altezza della situazione, capace di tirarla fuori dalle secche della crescita zero che l’accompagna da anni e senza la quale ogni programma di riduzione della quota del debito pubblico che resterebbe di competenza nazionale, per intenderci quella esistente in fase pre-Covid, non avrebbe alcuna possibilità di successo. Ci sembra questo il modo più serio e credibile per rilanciare la sua azione in ambito comunitario, in particolare nell’Eurozona, nella certezza che questa non possa fare a meno della politica.

×

Iscriviti alla newsletter