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Il futuro del fashion italiano: rischi e opportunità. Il web talk con Tomaso Trussardi

Di Diva Moriani

La pandemia ha accelerato un cambiamento inevitabile nel mondo della moda, Diva Moriani Vicepresidente esecutivo di Intek e Consigliere di amministrazione di Generali e Moncler, anticipa a Formiche.net temi e focus del web talk “Rilanciare il potenziale dell’Italia” organizzato da Task Force Italia, guidata da Valerio De Luca, in partnership con l’Accademia internazionale per lo Sviluppo economico e sociale (Aises), Universal Trust e Global Investors Alliance. Ospite dell’evento Tomaso Trussardi, Presidente di Trussardi Group.

Quando parliamo di Moda in Italia parliamo di un settore che rappresenta circa 80 miliardi di euro di fatturato (pari all’8,5% del PIL) e 500.000 addetti (pari al 12,5% dei totali occupati nel manifatturiero italiano). Un settore caratterizzato da aziende di dimensione inferiore alla media europea, con una tradizione consolidata di innovazione, creatività e artigianalità che ne hanno decretato il successo a livello internazionale, tanto da rappresentare il 78% dell’export europeo nel settore tessile e il 60% della subfornitura della moda di qualità nel mondo.

Con una crescita negli ultimi 20 anni pari al 5% medio annuo a livello globale, il settore dei beni di lusso è stato trainato negli ultimi anni principalmente dai consumatori cinesi (nel 2019 si stima che abbiano contribuito alla crescita del settore per circa il 90%). L’impatto della pandemia nel 2020 si stima abbia determinato una flessione su base annua nell’ordine del 25-35%, con differenze sostanziali dal punto di vista dei mercati geografici: Cina e Far East addirittura in crescita rispetto al 2019, nonostante una prima parte dell’anno particolarmente critica, un mercato USA in rapida ripresa dopo una crisi profonda e un mercato Europeo, invece, molto lento e sofferente fino alla fine dell’anno ed incerto sui tempi di ripresa.

La crisi determinata dal Covid-19 e le crescenti sensibilità su temi ambientali e sociali (proteste contro il razzismo e nuova povertà) hanno modificato le modalità di comportamento e di acquisto e gli stili di vita delle persone, con crescente attenzione alle caratteristiche del prodotto e dell’azienda che lo propone. Il lusso è chiamato a diventare più “diverse and inclusive” e ad imparare a dialogare con la Generazione Z (che si stima rappresenterà il 50% del mercato nei prossimi 10 anni), attraverso canali fino ad oggi considerati inusuali, dove l’esperienza digitale non rappresenta più solamente un momento di acquisto, ma un canale di ispirazione e di trasmissione di valori, arte e cultura. Se il Covid-19 ha accelerato lo shift del consumo dai canali tradizionali verso l’e-commerce, il post-Covid è atteso avviare una vera e propria rivoluzione digitale nel settore, che lascerà indietro tutte le aziende che non avranno saputo capirla e interpretarla per tempo, investendo nel loro futuro.

Questo passa attraverso il ripensamento complessivo del business model dell’azienda, dalla creatività alla prototipia, dalla produzione alla distribuzione e alla comunicazione. Perché conoscere e profilare il proprio cliente e i propri mercati, significa avere a disposizione (attraverso Ai e advanced analytics) quelle informazioni che permettono di fare previsioni più accurate della domanda ed interpretare più rapidamente i cambiamenti del mercato. Significa anche programmare più efficacemente la produzione, riducendo sprechi e rimanenze, con un prodotto sviluppato digitalmente che consente di costruire una supply chain più agile ed efficiente. Quindi fornitori più vicini, per ridurre il time to market e l’esposizione a chiusure improvvise di certi mercati, e più flessibili, in grado di gestire facilmente volumi più bassi. Probabilmente si cominceranno a vedere nel mercato integrazioni verticali, in grado di assicurare agli operatori più grandi un vantaggio competitivo strategico.

In termini di distribuzione il settore dovrà ripensare in termini “Glocal”, fintanto che le restrizioni dovute alla pandemia inibiranno la mobilità delle persone, investendo molto di più sui presidi locali e sulla comunicazione con quei mercati e quei consumatori specifici, offrendo messaggi prodotti e valori consistenti con la cultura locale. Tutto ciò offrendo straordinarie esperienze sia fisiche che digitali, o “phigital”, in cui la digitalizzazione entra nel negozio o la tecnologia consente di fare esperienze personalizzate on-line, virtual try-ons, fashion shows, ecc.

Per continuare ad avere un ruolo primario in questa nuova era della moda, le aziende italiane devono sì presentarsi all’appuntamento con solide strutture economiche e finanziarie, ma soprattutto essere culturalmente pronte ad abbracciare il cambiamento, ad abbandonare i vecchi schemi del passato per decidere di investire fortemente nel futuro. Anche quando questo passa attraverso cambi di paradigma sostanziali come creare partnership o perdere il controllo dell’azienda. Perché è una rivoluzione impegnativa per aziende le cui dimensioni medie sono piuttosto ridotte. Dove investire significa investire in tecnologia, ma anche in cultura e in risorse umane. Imparare ad operare in modo più sostenibile, assicurando diversità ed inclusività, e abbracciare il modello digitale, integrando persone e tecnologia, rappresentano i due capisaldi dell’upgrading cui le aziende italiane sono chiamate per non rimanere indietro.

Di quale supporto ha quindi bisogno il sistema Fashion Italia?
Gli interventi sul settore non potranno prescindere da interventi di iniezione di liquidità e rafforzamento patrimoniale, condizione necessaria perché le aziende possano affrontare in maniera solida le sfide di questa nuova era.

Agevolazioni specifiche sulle aggregazioni aziendali potrebbero accelerare percorsi di rafforzamento del sistema e di creazione di campioni italiani nel settore. Specifici incentivi/defiscalizzazioni/contributi alla digitalizzazione del business e delle risorse umane e alla creazione di modelli sostenibili/circolari di business rappresentano invece un elemento imprescindibile se si vogliono mettere le nostre aziende nelle condizioni di affrontare le sfide future.

Infine agevolazioni sull’inshoring produttivo potrebbero rafforzare nel suo complesso il sistema manifatturiero italiano e mettere le aziende italiane nelle condizione di affrontare in maniera competitiva questa nuova era.

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