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Pandemia, clima e tecnologie. Le sfide per la Nato secondo l’amb. Minuto Rizzo

Conversazione con Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation, che questa settimana organizza la due-giorni “Game Changers 2020” dedicata alle sfide del futuro per l’Alleanza Atlantica. Tra Nato2030 e “autonomia strategica europea”, ecco il punto dell’ambasciatore

“Cambiamenti climatici, pandemia e nuove tecnologie: ci troviamo in un pianeta più pericoloso di prima”. Parola dell’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation, che giovedì e venerdì prossimi organizza l’evento “Game Changers 2020” per discutere alcune tra le principali sfide alla sicurezza transatlantica. Intanto, è recente la pubblicazione del rapporto Nato2030, redatto dal gruppo di dieci esperti scelti dal segretario generale Jens Stoltenberg proprio per capire come adattare l’Alleanza al futuro.

Ambasciatore, l’evento che inizia tra pochi giorni sarà dedicato a tre temi in ambito Nato: cambiamento climatico, sicurezza sanitaria e intelligenza artificiale. Perché?

È una scelta che deriva dall’analisi del contesto di sicurezza internazionale. Da un po’ di tempo abbiamo notato cambiamenti importanti a livello tecnologico e di fenomeni naturali per cui ci è sembrato giusto aggiornare il breviario delle minacce del futuro. D’altra parte, in un mondo che cambia con rapidità, evolvono a grande velocità anche le componenti della sicurezza internazionale. I tre temi scelti si inseriscono comunque in un dossier più ampio, in cui abbiamo cercato di fare chiarezza, anche per chi non è uno specialista.

Partiamo dal cambiamento climatico…

È ormai chiaro che non si tratta più di futuro. I cambiamenti climatici hanno già riflessi sulla sicurezza internazionale. Se si scioglie il ghiaccio dell’Artico, si aprono nuove rotte marittime, con una serie di interessi ad esse connesse. Se aumenta la siccità in Africa, crescono i flussi migratori. Senza contare poi tutto il tema delle risorse naturali, per cui cito a titolo d’esempio la diga in costruzione in Etiopia, alle sorgenti del Nilo azzurro, tra l’altro da parte dell’italiana Salini. Seppur per ragioni comprensibili, potrebbe avere conseguenze gravi per l’Egitto, che non ha caso ha fatto emergere anche l’ipotesi di attacco preventivo.

E la pandemia?

È evidente che ha alimentato questioni internazionali molto intricate. C’è la gestione dell’emergenza, ma anche la corsa al vaccino, con impatti rilevanti nel nuovo confronto tra potenze. A tutto questo si aggiunge l’elemento sanitario come fattore di destabilizzazione, capace di accelerare una serie di trend che hanno diretto impatto sulla sicurezza.

Terzo tema, l’intelligenza artificiale. È davvero destinata a cambiare gli equilibri?

Probabilmente sì. È uno sviluppo tecnologico a tutto tondo, non solo militare. Certo, un problema rilevante riguarda gli armamenti. Ogni grande potenza (Stati Uniti, Russia e Cina) sta sviluppando armi guidate dall’intelligenza artificiale, di cui forse è stato prodromo recentissimo l’assassinio dello scienziato iraniano Mohsen Fakhrizadeh. Al problema tecnologico si aggiunge quello etico, altrettanto evidente. E le grandi potenze sbagliano a pensare di poter procedere isolatamente. Serve un codice di condotta che sia valido per tutti, e ciò vale anche per gli altri campi di grande innovazione tecnologica, come lo Spazio extra-atmosferico. L’attacco contro satelliti è uno scenario che, ad esempio, non siamo ancora in grado di affrontare. In sintesi, ci troviamo in un pianeta più pericoloso di prima.

Questa è anche la constatazione del rapporto Nato2030 redatto dal Gruppo di riflessione incaricato dal segretario generale. Ma la Nato è pronta ad affrontare un mondo più pericoloso?

Scoprirlo era proprio il compito del Gruppo di riflessione. Gli esperti non si sono mai incontrati direttamente a causa della pandemia, e credo che questo abbia nociuto al loro lavoro.

Ci spieghi meglio.

Mi pare che non abbiano risposto al quesito. L’analisi tecnica dello scenario e dei trend futuri è molto accurata, ma c’è poco su quello che la Nato dovrebbe veramente cambiare. Si dice ad esempio che il dialogo politico dovrebbe essere più intenso, ma non si suggerisce se debba accadere con più riunioni ministeriali all’anno, oppure con gruppi di lavoro di alti funzionari.

Il rapporto partiva comunque dalla sentenza di “morte cerebrale” di Macron, che pare decisamente smentita. Non è così?

Io credo che quella battuta di Macron, che pure aveva del vero, non sia troppo da prendere sul serio. Dietro ci potrebbe essere anche un disegno politico, di chi critica la Nato perché vuole qualcos’altro. Nella sua testa il presidente vuole un’Europa della Difesa più forte, chiaramente a guida francese. Per questo, la sentenza di “morte cerebrale” non è certo in buona fede.

Il tema è quello della “autonomia strategica europea”, per cui Macron si è scontrato di recente anche con la ministra tedesca nella Difesa…

Non c’è nulla di nuovo in tutto questo. La Francia e la Germania sono da sempre i Paesi leader in Europa; facciamo finta di scandalizzarci, ma è sempre stato così. Altrettanto storica è però la divergenza strategica tra i due Paesi. La Francia conserva l’impostazione gollista; si sente grande potenza in virtù nel seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu e della sua Force de trappe, e si sente dunque il candidato ideale a guidare la nascente Difesa europea. La Germania non vuole litigare e segue Parigi, ma conserva un’altra percezione, ritenendo che un’Europa della Difesa a guida francese non sia di suo interesse. Di recente, parlando, un ambasciatore francese si lamentava con me dicendo che i tedeschi guardano solo all’America.

E lei cosa ha risposto?

Ho risposto: “Amico mio, cosa vuoi fare, è una cosa storica”.

Intanto dall’altra parte dell’Atlantico c’è la transizione tra Joe Biden e Donald Trump. Che segnale per l’Europa?

Un’occasione. Biden ha nominato una squadra diversa da quella del suo predecessore. È decisamente più europeista, ma è bene considerare che durerà solo per i prossimi quattro anni. Anche biologicamente, Biden è l’ultimo rappresentante di una generazione del dopoguerra legata e convinta dell’alleanza euro-atlantica, e ha scelto così la sua squadra. Tra quattro anni però se ne andrà, e intanto la sua opposizione (corposa) ha già mostrato di vedere le cose in maniera completamente diversa. Tutto questo per dire che l’Europa ha quattro anni per approfittarne e rafforzarsi sul fronte transatlantico.

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