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Next Generation, il piano italiano è già un’occasione perduta? Scrive Scandizzo

Per quanto possiamo essere tutti consapevoli del fatto che l’impegno del Next Generation presuppone un’iniziativa di tipo progettuale e di governance pubblica a carattere straordinario e senza precedenti, la bozza del piano al momento in circolazione appare come un lodevole esercizio di impostazione. Privo però del carattere di coerenza e ambizione insito nella natura del progetto europeo sottostante. Il commento di Pasquale Lucio Scandizzo

Il piano nazionale di Ripresa e Resilienza per il fondo Next Generation Italia si presenta come un documento complesso, che tenta di affrontare la problematica della ripresa dopo l’emergenza, perseguendo obiettivi inevitabilmente in conflitto tra di loro quali il rilancio dell’economia, la riforma del modello di sviluppo del paese e l’equilibrio dei conti pubblici.

In linea con le aspettative create in questi mesi, il documento professa di considerare i fondi del Next Generation, pari a poco meno 200 miliardi di euro, uno strumento poderoso di intervento e un’opportunità storica, sia per la riattivazione della economia nel breve periodo, sia per la sua trasformazione strutturale. Tuttavia, la parte analitica del documento dà l’impressione che il governo stesso non si senta adeguatamente pronto a dirigere in maniera efficace l’ammontare di risorse disponibili verso investimenti incisivi in tempi accettabili.

In linea con questa contraddizione di fondo, una parte del documento si presenta quindi come una proposta visionaria di obiettivi di trasformazione della società e dell’economia basata su narrative per alcuni aspetti suggestive, anche se in gran parte scontate e vaghe delle riforme strutturali che il fondo dovrebbe finanziare in modo determinante. La parte più documentata e purtroppo più convincente del documento propone invece di fatto una sostanziale frammentazione delle risorse che minaccia di ridurne l’impatto sia temporale che settoriale in modo così estremo da rendere la narrazione degli interventi trasformativi oltre che generica, implausibile.

Secondo quanto si legge nella bozza finora circolata del documento (pp. 103 e seguenti), il dispositivo europeo di ripresa e resilienza (Rrf), che finanzia il Piano di ripresa e Resilienza dell’Italia, renderà disponibile per il nostro paese per il periodo 2021-26 circa 65,4 miliardi di euro di sovvenzioni e 127,6 miliardi di euro di prestiti, ovvero 193 miliardi complessivamente. Il governo prevede di utilizzare “prevalentemente” le sovvenzioni del RRF (65,5 mld.) per il finanziamento di investimenti aggiuntivi rispetto all’evoluzione prevista degli investimenti pubblici a legislazione vigente (tendenziale) e per il sostegno agli investimenti privati (anche se su questo fronte non fornisce indicazione alcuna sull’effettiva natura degli stessi e tantomeno sulla componente di risorse private attivabili e in grado di amplificare gli effetti in ricadura in maniera sostanziale).

Per i prestiti, invece, il piano prevede che una quota venga utilizzata per interventi (non necessariamente investimenti) aggiuntivi (40 mld.) e che la restante parte venga utilizzata per il finanziamento di investimenti e di altre misure che sarebbero altrimenti state supportate da risorse nazionali (ovvero in sostituzione e non in aggiunta). In totale, si prevede che circa il 60 per cento dei fondi Ngeu additivi sia destinato al finanziamento di investimenti pubblici, ossia, spese in conto capitale a carico delle amministrazioni pubbliche. Nel complesso parliamo quindi di circa 50 miliardi di Euro di sovvenzioni (interpretando il “prevalentemente” come circa il 75% dell’ammontare disponibile) e di 40 miliardi di euro di prestiti distribuiti” su 6 anni, ossia, assumendo una ottimistica distribuzione uniforme, investimenti aggiuntivi per circa 15 miliardi per anno.

In realtà il piano non prevede una distribuzione uniforme, ma una curva prima crescente e poi decrescente con risorse molto limitate nel 2021. Per valutare le conseguenze di questa impostazione, dobbiamo ricordare che la ratio del Rrf è anzitutto quella di somministrare alle economie in profondo rosso del vecchio continente uno stimolo fiscale immediato di dimensioni tali da riattivare la domanda aggregata. Questo stimolo è tanto più necessario a causa del prolungamento imprevisto della pandemia e della inefficacia delle politiche monetarie oramai da troppo tempo utilizzate come strumento unico di politica macroeconomica. Attraverso la spesa per investimenti, si è pensato altresì di cogliere l’occasione per sfruttare questo stimolo eccezionale, concentrato nel tempo e nello spazio (più risorse ai paesi in maggiore difficoltà) per gettare le basi per una politica fiscale europea e accelerare le riforme strutturali e i processi di convergenza dello sviluppo economico nell’unione.

Per perseguire coerentemente questi obiettivi sarebbe quindi necessario che l’utilizzo del fondo fosse concentrato ed efficace nei tempi più brevi possibili. Il fatto che l’utilizzo previsto debba essere immediato è stato a lungo discusso, anche contemplando la possibilità di “front loading”, ossia di anticipazioni ponte che rendano il grosso delle risorse disponibili entro il 2021-2022 e infatti, se si guardano i piani preparati dagli altri paesi (per es. il piano francese consultabile on line), l’utilizzo delle risorse del fondo è concentrato nei tre anni 2021-2023. L’immediatezza è essenziale perché il fondo agisca dando uno shock determinante alla domanda aggregata che ha bisogno di uno stimolo straordinario per ripartire e far ripartire l’economia. Diluire i fondi disponibili nel tempo li priva di un elemento cruciale di efficacia quale l’effetto tempestivo sulla domanda aggregata e non tiene conto che in ogni caso vi sarà una tendenza alla diluzione causata dagli inevitabili ritardi amministrativi ed esecutivi legati alle note difficoltà di gestione della Pa.

Dal lato dell’offerta, la diluzione temporale, insieme con la rinuncia ad utilizzare una parte maggiore delle risorse europee per investimenti pubblici, può sembrare un inchino alla realtà, poiché la capacità di realizzazione del paese in questo settore è notoriamente carente. Tuttavia, anche in questo caso, la risposta più appropriata dovrebbe essere il tentativo di accelerare, rispetto ai tempi normali, la implementazione di progetti ambiziosi e trasformativi, peraltro in coerenza con gli obiettivi enunciati nella narrativa visionaria del documento di piano.

Per quanto concerne poi l’esercizio di simulazione riportato in coda al documento circolato, esso documenta , per così dire, queste conclusioni, presentando risultati di impatto assolutamente modesti, commisurato com’è a una disponibilità altrettanto modesta di risorse (il risultato sintetico è di un incremento del Pil di 2.3 punti percentuali nel 2026 rispetto alla situazione senza gli interventi finanziati dal fondo).

Questo esercizio, tuttavia, pur dando risultati molto limitati, appare esso stesso ottimistico, perché è basato sulla ipotesi che per il 2026 una parte rilevante degli investimenti saranno realizzati ed operativi come “capitale pubblico”. In definitiva, per quanto possiamo essere tutti consapevoli del fatto che l’impegno del Next Generation presuppone un’iniziativa di tipo progettuale e di governance pubblica a carattere straordinario e senza precedenti, la bozza del piano al momento in circolazione appare come un lodevole esercizio di impostazione, privo però del carattere di coerenza e ambizione insito nella natura del progetto europeo sottostante. Speriamo che in tempi urgenti sia possibile analizzare una sua evoluzione in chiave di rimodulazione temporale, di maggiore definizione delle misure di allocazione e di ulteriore approfondimento degli scenari attuativi e dei loro effetti socioeconomici.

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