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Cosa dice degli italiani l’ultimo Rapporto del Censis

classe dirigente

Il Rapporto Censis è un avvenimento che si aspetta sempre con quasi religiosa attenzione. E però quest’anno viene naturale pormi delle domande sui sentimenti del popolo italiano

Il Rapporto Censis è un avvenimento che si aspetta sempre con quasi religiosa attenzione. E però quest’anno viene naturale pormi delle domande sui sentimenti del popolo italiano. E il futuro di un popolo stordito. Vero è che la tecnologia la rapidità e la superficialità di acquisizione dei dati che dominano il nostro secolo delle notizie, o ritenute tali, rischiano di creare, e in parte hanno già creato, un Paese che da un lato è vulnerabile, crede quasi a tutto anche all’inverosimile, dall’altro è intimorito da ciò che viene comunicato sui social sui giornali sulle tv.

E da un governo nella sua composizione apparentemente assembleare, che usa però attraverso il il presidente le conferenze stampe come bollettini di guerra e i vari organismi con una disinvoltura straordinaria in step and go. Rispetto alla pandemia su Facebook e mass media è apparso di tutto: dalla provenienza del covid dagli animali, dalla Cina dagli Stati Uniti, insomma scenari di guerra. E’ scoppiata la guerra commerciale, la guerra sanitaria e la guerra politica e il popolo italiano impreparato come peraltro il governo, è un popolo giustamente sospettoso perché fatica a riconoscere e individuare interlocutori forti, autorevoli e soprattutto credibili che gli forniscano appunto notizie fondate.

Tutto ciò contribuisce a determinare quel disorientamento e quella sudditanza denunciata da Censis che si rintana sotto la parola paura. Solo la cultura il codice deontologico e la responsabilità sociale avrebbero potuto, forse, drenare questa deriva sottomessa, mentre la faziosità è sempre in agguato e richiede capacità di discernimento e vigilanza che è propria di un popolo colto, sensibile, e in grado di esprimere le proprie opinioni e magari anche misurare la gravità o l’inconsistenza delle parole e delle narrazioni che vengono spesso urlate e non raccontate con linguaggio competente.

Gli italiani hanno necessità di ascoltare un linguaggio privo di contrapposizione, essenziale che ci informi delle notizie con fatti e persone e non di essere alluvionati con informazioni che ci arrivano addosso scorrendo ipnoticamente sui tablet, sulle tv, dove pare che tutti dicano la o una verità e tutti hanno ragione e torto e non riuscire a dar conto di come stanno esattamente le cose. Una emergenza scalza un’altra emergenza, un problema ne butta via un altro, un panorama infinito di fonti soprattutto che arrivano dalla politica e poi si finisce per essere smarriti perché non si hanno più punti di riferimento certi ma una realtà drogata e frantumata.

Tonnellate di violenza verbale, di indifferenza verso il prossimo, scomunicazioni tra politici e scienziati, medici, virologi non valutano quello che il loro messaggio può produrre, affermazioni di sopraffazione che producono risultati appiccicosi nella coscienza delle persone. Il linguaggio della contrapposizione ha stancato, ha logorato, il salottismo televisivo è ormai insopportabile perché bisogna capire per potersi fare una opinione e per difendere la dignità umana. La mia resistenza civica la mia responsabilità sociale per una convivenza civile e democratica è quella di esserci e quella di stare a disposizione delle e dei giovani per riannodare anche i fili della storia degli italiani con una ricerca di capacità di cambiamento culturale perché i giovani vivono un momento di crisi enorme, sia economica sia culturale.

Lo smarrimento collettivo porta la maggioranza dei cittadini – dice il Censis – ad attaccarsi al feticcio dell’autorità pubblica, pur non riconoscendogli autorevolezza. Ho firmato un appello per avere risposte dal Governo anch’io come tanti altri italiani. Un silenzio assordante, una lite continua tra di loro, tra chi detiene il potere di non decidere. La tabella di marcia disegnata da Bruxelles non lascia giustamente via di fuga: le linee guida del 17 settembre indicano come priorità l’innovazione digitale, la transizione ecologica, la pubblica amministrazione, il fisco, l’istruzione e la ricerca.

Bisogna approvare i progetti, prevedere tempi, assicurarsi il prefinanziamento del 10%, rispettare gli stati intermedi di avanzamento (senza i quali l’erogazione delle risorse si blocca). Ma noi non abbiamo fatto nulla di tutto questo, e il dibattito anziché incentrarsi sulle premesse metodologiche e sugli investimenti da fare sia per le infrastrutture materiali (ospedali, scuole, strade, linee ferroviarie, centri di ricerca) che quelle immateriali (cablatura digitale del territorio con le imprese lasciate sole) è tutto bloccato. Siamo come dice il Censis impantanati su una ruota quadrata che non gira.


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