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Recovery Fund, le domande (e le risposte) di Pennisi

L’interlocuzione sulla governance, interrotta per il Natale, riprenderà lunedì 28 dicembre con l’obiettivo di giungere ad un documento di governo da portare all’attenzione del Parlamento. Dato che nei resoconti di stampa appare una certa confusione su punti essenziali, sembra utile fare alcuni chiarimenti…

É in corso un’interlocuzione all’interno della maggioranza sulla Recovery&Resilience Facility, lo strumento principale del programma europeo Next Generation Eu. L’interlocuzione, interrotta per il Natale, riprenderà lunedì 28 dicembre con l’obiettivo di giungere ad un documento di Governo da portare all’attenzione del Parlamento. Dato che nei resoconti di stampa appare una certa confusione su punti essenziali, sembra utile fare alcuni chiarimenti sulla base di documenti e dichiarazioni ufficiali e nel formato di Domande e Risposte (Q&A).

1) La Commissione europea richiede una “cabina di regia”?

No. Tanto il Vice Presidente Dombrowski quanto il Commissario Gentiloni (ed infine il capo di gabinetto di quest’ultimo Marco Buti) hanno esplicitato che la Commissione vorrebbe un referente unico per il Next Generation EU. In gran parte degli Stati dell’Unione europea (Ue), tale referente è il Ministro dell’Economia e delle Finanze (Mef9 o il Ministro degli Affari Europei. In Francia, per la bisogna si è dato nuova vita al Commissaire au Plan (abolito nel 2006) incardinato nel Mef. Se ci sono state richieste riservate al Presidente del Consiglio, è auspicabile che vengano esplicitate e documentate a Governo e Parlamento.

2) Quale è nesso tra il Next Generation Eu e la Recovery&Resilience Facility?

Il primo è una visione a lungo termine di riforme per dare un futuro più moderno e più giusto alla prossima generazione ed il secondo lo strumento finanziario per dare corpo a questo futuro. Tale visione deve essere la premessa dei piani e programmi dei singoli Stati beneficiari.

3) C’ è tale nesso nella bozza disponibile di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)?

Come dice Petrolini, è tanto fine che non si vede. Le riforme sono poco dettagliate e sembrano avere come matrice comune le parole “digitalizzazione” e “semplificazione” ed anche i “progetti” per accompagnarle. I progetti sono delineati in modo molto approssimativo. Occorre fornire una «visione politica» degli obiettivi e della strategia, specificazione dei progetti indicando quali parametri di valutazione e quali criteri di scelta sono stati impiegati. Ciò è particolarmente importante perché prima di erogare le ultime rate del finanziamento deve essere condotta una valutazione ex post e comparata con gli «indicatore di valore progettuale (ad esempio, tasso di rendimento finanziario ed economico, occupazione in fase di cantiere ed a regime) della valutazione ex ante. La Commissione richiede naturalmente valutazione ex ante ed ex post delle riforme che a tal fine devono essere specificate in dettaglio ed esaminate nella loro efficienza, efficace ed apporto alla produttività ed alla crescita.

4) Ci sono regole per tale valutazione?

Per i progetti, si applicano le procedure standard di analisi costi benefici e costi efficacia economica e finanziaria dell’Ue di cui ha dimestichezza la pubblica amministrazione italiana, integrate per i grandi progetti con il “metodo degli effetti”, che veniva utilizzato in passato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Le linee guida europee non specificano se i “progetti” debbano essere nelle competenze delle pubbliche amministrazioni centrali dello Stato, delle Regioni e delle province autonome od anche di aziende a partecipazione pubblica ed anche private. Il governo deve chiarire questo punto anche perché esso incide sulla tipologia di valutazione.

Più complessa la valutazione delle “riforme” in alcuni settori; ad esempio, mentre ci sono istituti statali di ricerca di livello internazionale per valutare riforme dell’istruzione e della Pubblica amministrazione non ci sono istituti di pari standard nel campo della “giustizia” – per citare tre settori indicati come prioritari dall’Ue.

5) Cosa ostacola le definizione di parametri di valutazione e dei criteri di scelta?

Per i progetti, i “parametri di valutazione esprimono:

a) le preferenze di distribuzione dei costi e dei benefici per fasce di reddito/consumi o su base territoriale o sotto il profilo intergenerazionale;

b) il valore sociale da attribuire a obiettivi di politica economica e sociale, quali l’occupazione, la coesione sociale e la sostenibilità ambientale;

c) il valore da attribuire a beni e servizi non di mercato o solo parzialmente di mercato (istruzione, ambiente, salute);

d) il computo economico di effetti esterni, interdipendenze, costi accantonati, trasferimenti finanziari all’interno della collettività, andamento generale o specifico dei prezzi di beni e servizi;

e) il valore economico e sociale di beni e servizi in mercati regolamentati (spesso con tariffe e altre forme di prezzi amministrati). In materia, la situazione è confusa e sarebbe necessario mettere rapidamente ordine.

“Parametri” sono stati elaborati negli anni Ottanta del secolo scorso dall’allora Ministero del Bilancio sulla base di una metodologia econometrica aggregata, volta a stimare il rendimento marginale dell’investimento in opere pubbliche. Essi hanno fornito la base di una delibera del Cipe del 1984, emendata, per gli investimenti nel Mezzogiorno, da una direttiva della presidenza del Consiglio del 1986.

Tanto la delibera Cipe, quanto la direttiva sono ormai obsolete. Nel 2007, un documento di lavoro dell’Uval (Unità di valutazione allora presso il Ministero dello Sviluppo Economico) ha proposto un aggiornamento (peraltro mai ufficializzato), basato sostanzialmente sui lavori della Commissione europea e sulle direttive per le istruttorie di piani e progetti a valere sui fondi strutturali europei.

Nel 2012, il Cnel ha presentato un documento di osservazione e proposte, alla luce dell’evoluzione metodologica e dell’esperienza delle principali istituzioni internazionali e dei maggiori Paesi europei, ma soprattutto in linea con obiettivi che danno la priorità alla sostenibilità ambientale e a una migliore distribuzione dei benefici della crescita tra varie categorie. In punta di diritto è ancora valida la delibera del Cipe del 1984. Un chiarimento è essenziale. Sarebbe logico e semplice adottare il documento Cnel, aggiornato. Il Governo deve fare una scelta chiara e netta.

Per le riforme, ove esse siano sufficientemente dettagliate, la modellistica econometrica di cui dispongono il Mef e l’Istat può fare il lavoro tecnico ma il Governo deve indicare gli obiettivi da perseguire.

6) Ci sono regole per il monitoraggio?

Per “progetti” e “riforme” le prassi e le risorse della pubblica amministrazione per esaminare lo stato di avanzamento dovrebbero essere forse integrate da competenze specifiche da acquisire, in seguito a selezione per evidenza pubblica, tramite contratti di consulenza con università ed istituti di ricerca. Ci dovrà essere, dato il volume delle risorse in campo, contabilità separata ed un attento monitoraggio da parte della Ragioneria Generale dello Stato (Rgs), come peraltro previsto nel disegno di legge di bilancio 2021.


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