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Renzi (e gli altri) fra fatti, intenzioni e parole. La bussola di Ocone

In politica, spiega Corrado Ocone, non contano le intenzioni ma i fatti. È quindi non solo impossibile, ma anche inessenziale, capire quali siano i reali intendimenti delle ultime prese di posizione di Matteo Renzi, che hanno fatto rinviare due volte il Consiglio dei ministri previsto per domenica scorsa…

Una delle prime regole della politica è che non contano le intenzioni ma i fatti, non l’“anima” ma il corpo (e la politica è attività, in tutti i sensi e gradi, legata alla strettamente alla corporeità). È quindi non solo impossibile, ma anche inessenziale, capire quali siano i reali intendimenti delle ultime prese di posizione di Matteo Renzi, che hanno fatto rinviare due volte il Consiglio dei ministri previsto per domenica scorsa.

Vuole far cadere il governo, e cerca un pretesto; oppure vuole solo alzare la posta per entrare con maggior peso nella “cabina di regia” che provvederà ad allocare le ingenti risorse, più o meno a debito, che dovrebbero arrivare dall’Europa? E si accontenterebbe di una “cabina” rivista, o davvero vuole restituire dignità a quei luoghi deputati della democrazia, a cominciare dal Parlamento, che, già sofferenti, sono stati stressati all’inverosimile dalla gestione governativa della pandemia (e per di più su questioni fondamentali, quelle concernenti i diritti di libertà)?

La gran parte dei commentatori, basandosi sulle precedenti alzate di scudo renziane, tutte rapidamente rientrate, sono convinti che la tesi dello “strapuntino”, cioè di azioni tese ad allargare con pretesti gli spazi di potere per sé e i suoi, sia la più verosimile. Eppure, ben riflettendoci, questa volta potrebbe non essere o non andare a finire così. Intanto, ci sono le parole, che sono fatti anche loro, o quanto meno hanno un carattere performante, cioè cambiano la percezione della realtà e portano ad agire di conseguenza su di essa. Anche se anche questa volta andrà a finire, è proprio il caso di dire, a tarallucci e vino, cioè con più potere per il nostro e con il sostanziale passaggio del disegno del premier (cabina più task force), le parole sono state forti, precise, e hanno pesato.

In modo inappuntabile, esse hanno infatti posto gli italiani che le hanno ascoltate davanti a una questione che veniva finora ipocritamente taciuta o occultata: le forme della democrazia sono completamente saltate, e noi viviamo in una situazione (non sappiamo quanto provvisoria ma che comunque crea un precedente) ove tutto ciò che di “buono” (insieme al tanto di “cattivo” o meglio di “superato”) era legato alla vecchia Costituzione non ha più forza e vigenza. Possiamo ancora far finta di nulla, e anzi nemmeno porci il problema? Rispetto ad altri episodi del recente passato, non va poi nemmeno sottovalutato l’atteggiamento assunto dal  Pd (e lasciamo stare i Cinque Stelle che, forse non è una novità, oggi non sanno nemmeno chi sono e cosa vogliono): questa volta Nicola Zingaretti non si è allineato con il presidente del Consiglio, ma anzi nelle file del Partito di cui è segretario è sembrato scorgere quasi un sollievo a vedere che qualcuno facesse quel “lavoro sporco” che nessuno in casa aveva avuto la forza e il coraggio di fare. E anche questo è un fatto, il segnale di un clima politico cambiato che rende ancor più imprevedibile il cammino futuro del governo.

D’altronde, finora, Giuseppe Conte, forte della convinzione che i dem non avevano alternative ad un governo che li aveva rimessi in gioco e di cui si erano fatti garanti a livello europeo, tutto teso a conquistare per sé un potere che non ha (non essendo passato dalle prova delle urne), ha utilizzato una strategia ben precisa: mettere gli alleati di fronte al fatto compiuto, comunicando le proprie decisioni in extremis e quando non era più possibile intervenire, sapendo che ciò avrebbe suscitato qualche malumore e critica ma che alla fine si sarebbe fatto come lui voleva. Ciò è avvenuto con la convocazione della surreale passerella degli Stati generali e in tante altre occasioni, sempre con successo. Che questa volta non sia avvenuto facilmente, è un fatto.

E l’impressione è che Renzi sia forse solo l’uomo-immagine di qualcosa di più profondo che bolle in pentola (e che forse l’altro personaggio “ambiguo” delle ultime vicende, Silvio Berlusconi, con il suo fiuto e i suoi emissari aveva già odorato).

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