Skip to main content

Tra pandemia e medici di famiglia. Il dubbio e la perplessità

Sarebbe certamente auspicabile stabilire un rapporto differente con il Servizio sanitario: ossia di dipendenza con retribuzione variabile a seconda delle ore che ci si impegna a prestare. Ciò garantirebbe al cittadino un servizio migliore. Ma non solo. Il commento di Giuseppe Pennisi

Circa una settimana fa il New York Times International ha pubblicato una lunga analisi – in gergo un “taglio” di prima pagina e quasi tutta la settima pagina – che non ha fatto piacere al governo e non ha fatto onore all’Italia. In breve, secondo il quotidiano, non siamo stati “i primi della classe” nell’affrontare la pandemia del Covid-19 ma in termini di decesso in rapporto alla popolazione tra gli ultimi (come d’altronde ci ricorda ogni sera il sito www.worldmeters/coronavirus.com).

Una delle determinanti di base, secondo il giornale che si vanta di pubblicare tutte le notizie fit to print (ossia che meritano di essere stampate), sarebbe il mancato collegamento tra la medicina sul territorio (i medici di famiglia o di base) ed il resto del Sistema sanitario nazionale (Ssn). Un’accusa pesante. A cui qualcuno in autorità avrebbe dovuto replicare. I governi, ed i ministri, però, non replicano ai giornali con le parole ma con i fatti.

Tanto più che questa accusa è stata espressa, più o meno apertamente, pure sulla stampa italiana e da non poche associazioni della professione medica. Il 3 dicembre è arrivata una circolare di 16 pagine del ministro della Salute che disciplina “il trattamento Covid a domicilio”. Una risposta alle critiche formulate dal New York International e da altri? Difficile dirlo.

Secondo la circolare, sarà un punteggio a definire lo stato dell’assistito Covid gestito al domicilio dal medico di famiglia: basato su alcuni parametri, che consentirebbero di dividere i pazienti in tre categorie di rischio. In breve, una scala a punti- chiamata all’inglese Mews (modified early warning score) – ribadiamo, per definire lo stato del paziente Covid che dovrebbe essere dal medico di famiglia, probabilmente senza una visita domiciliare ma solo con supporto telefonico o informatico.

La scala Mews servirà a quantificare la gravità del quadro clinico del paziente Covid al domicilio e la sua evoluzione. L’instabilità clinica viene correlata nella scala all’alterazione dei parametri fisiologici (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, temperatura, livello di coscienza, saturazione di ossigeno) e permetterebbe di identificare il rischio di un rapido peggioramento clinico o di morte.

Attraverso la scala Mews, i pazienti vengono quindi stratificati in 3 gruppi di rischio: basso/stabile (score 0-2); medio/instabile (score 3-4); alto/critico (score 5). La valutazione dei parametri al momento della diagnosi di infezione e il monitoraggio quotidiano, anche attraverso approccio telefonico, soprattutto nei pazienti sintomatici lievi sarebbe fondamentale poiché – si legge nella circolare solo.” circa il 10-15% dei casi lievi progredisce verso forme severe”.

Come si gestisce il paziente , secondo la circolare?

a) misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno (che non deve essere sotto il 92%) tramite saturimetri;

b) trattamenti sintomatici (paracetamolo), appropriate idratazione e nutrizione

c) l’avvertenza di non modificare terapie croniche in atto per altre patologie, in quanto si rischierebbe di provocare aggravamenti di condizioni preesistenti.

In parole povere, stare a guardare (a distanza) e non utilizzare neanche quei farmaci che la prassi degli ultimi dieci mesi sembrano essere efficaci. Sino a quando “nelle situazioni di aggravamento del paziente è largamente raccomandabile che, in presenza di adeguata fornitura di dispositivi di protezione individuale, i medici e i pediatri, anche integrati nelle Usca (Unità sanitarie di continuità assistenziale- n.d.r.), possano garantire una diretta valutazione dell’assistito attraverso l’esecuzione di visite domiciliari”.

In breve, la circolare fa nascere ad un profano, come il vostro chroniqueur, il dubbio e le perplessità che la misura non cerchi di risolvere il problema – il nesso tra medici di famiglia e Ssn- ma solo di dare una copertura burocratica per un eventuale scaricabarile. Per questo motivo, la circolare è stata applaudita da alcune organizzazioni sindacali.

Non si sono fatti però i conti con il Next Generation Eu e con il relativo Resilience and Recovery Fund (nonché allo sportello sanitario del Meccanismo europeo di stabilità Mes) che chiedono miglioramenti sostanziali e riforme. Attualmente la medicina sul territorio è costituita principalmente da medici di medicina generale “convenzionati” con un rapporto professionale con il pertinente ramo del Ssn (di solito una Ulss o una Asl). Il rapporto prevede 18 ore settimanali di prestazioni.

Ne possono certamente fare molte di più. Sono retribuiti con un compenso “capitario” (il numero dei cittadini/ potenziali pazienti) iscritti – come nel film di Zampa – e con un pagamento che varia dalla prestazione (visita, vaccinazione, ecc.) secondo un tariffario. Ed è quasi certo che tra le riforme chieste per il Resilience and Recovery Fund verrà chieste di rivedere questo meccanismo.

Stime da parte di sindacati del settore affermano che un medico di base o di famiglia che si dedica interamente alla sua attività “convenzionata” può avere ricavi mensili (al lordo delle tasse) di 10 mila euro. Forme associative permettono di ridurre i costi a carico di ciascun medico e di ampliare i servizi. Ad esempio, di estendere sul territorio una rete di ambulatori. Un sistema del genere vige quasi solamente in Italia tra gli Stati dell’Unione europea (Ue).

Sarebbe certamente auspicabile stabilire un rapporto differente con il Ssn: ossia di dipendenza con retribuzione variabile a seconda delle ore che ci si impegna a prestare. Ciò faciliterebbe lo sviluppo non su base puramente volontaristica di medicina “in gruppo” oppure di medicina “in rete” per garantire al cittadino un servizio migliore e offrirgli la possibilità di rivolgersi a uno degli altri medici associati in caso di urgenza e in caso di assenza del proprio medico. Soprattutto per le prestazioni non rimandabili al giorno successivo (anche se solamente si ha bisogno urgentemente di un certificato o della prescrizione di un farmaco) e nel rispetto degli orari e delle modalità organizzative dei singoli studi.

Ciò richiede uno sforzo concettuale e organizzativo complesso e che comporta azione coordinate da vari livelli di governo, e da vari livelli d’amministrazione. Non certo una circolare che non sfiora il problema e burocratizza ancora di più l’esistente.


×

Iscriviti alla newsletter