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Statene fuori. Pechino avverte la Chiesa (con un arresto a Hong Kong)

Tra i 53 attivisti pro democrazia finiti in manette a Hong Kong c’è anche John Clancey, avvocato ed ex missionario di Maryknoll. Il suo arresto è un messaggio di Pechino alla Chiesa, un invito a starne fuori

Nell’ondata di arresti effettuati nelle ultime ore dalle autorità di Hong Kong c’è anche un messaggio alla Chiesa cattolica e proveniente da Pechino. Un invito a tenersi alla larga dall’ex colonia britannica.

Infatti, tra i 53 attivisti del fronte democratico finiti in manette c’è anche un avvocato e attivista americano, John Clancey, esperto di diritti umani dello studio legale Ho Tse Wai & Partners e tesoriere del gruppo Power of Democracy. Ma soprattutto — ed è questo il dettaglio che dovrebbe far accendere una spia di allarme oltre Tevere e oltre Pacifico — ex missionario di Maryknoll, cioè la Società per le missioni estere degli Stati Uniti d’America. Come gli altri arrestati, è sospettato di “sovversione” in base all’articolo 22 della Legge sulla sicurezza nazionale approvata a giugno.

Il capo della sicurezza di Hong Kong, John Lee, ha cercato di dipingere gli arresti come “necessari”, contro persone che hanno cercato di “far sprofondare” l’ex colonia britannica in un “abisso”. E l’ha fatto impugnando la contestata norma imposta dal governo pro Pechino con la promessa di arrestare i vandali che mettevano a ferro e fuoco la città ma in realtà utilizzata dalle autorità per silenziare il dissenso pacifico (come dimostra anche questo recente episodio).

La maxiretata arriva dopo gli arresti e le condanne di Joshua Wong (la cui casa è stata perquisita in queste ore), Agnes Chow e Ivan Lam e l’arresto del tycoon dell’editoria Jimmy Lai, ancora in attesa di processo. A finire in manette sono stati praticamente tutti gli ex parlamentari del campo democratico, che avevano partecipato alle primarie dello scorso luglio in vista delle elezioni legislative di settembre (poi rinviate dalle autorità con il pretesto della pandemia) e che a novembre si erano dimessi in massa dopo la squalifica di quattro compagni colleghi.

Il bersaglio grosso sembra essere l’organizzatore delle primarie, Benny Tai, il professore di Legge che ha fondato il movimento Occupy Central da cui era nata la cosiddetta Rivoluzione degli ombrelli. Arrestando Tai, che a luglio era già stato licenziato dall’Università di Hong Kong, le autorità filocinesi hanno voluto mandare un messaggio chiaro: un avvertimento a chiunque speri di conquistare la maggioranza al Consiglio legislativo (il Parlamento di Hong Kong) e dunque di rovesciare il governo pro Pechino.

Peccato, però, che ascendere al potere sia l’obiettivo di qualsiasi forza politica — oltre che una speranza che il fronte democratico cullava dopo gli ottimi risultati nelle ultime tornate elettorali. Il che non fa che ribadire quanto sia pericoloso essere anche soltanto un candidato del fronte democratico a Hong Kong. Un aspetto contrario alla Basic Law (la Costituzione dell’ex colonia britannica) e al principio “un Paese, due sistemi” che dovrebbe regolare l’autonomia del Porto profumato dalla Cina.

L’operazione di polizia non ha risparmiato neppure i media: tre organi di stampa locali — Stand NewsApple DailyInmediahk — hanno ricevuto la visita di agenti che hanno chiesto documenti. “È una vera notte dei lunghi coltelli, il più grande attacco alla democrazia a Hong Kong finora”, ha twittato Antony Dapiran, un avvocato autore di libri sul movimento di protesta. Nathan Law, un importante leader democratico fuggito all’estero lo scorso anno, ha accusato le autorità di aver tentato di “spegnere le fiamme della resistenza” con gli ultimi arresti.

Il dossier Hong Kong continuerà a dividere la Cina e gli Stati Uniti anche con l’uscita di scena di Donald Trump (la cui amministrazione aveva cercato di tirare in ballo anche la Santa Sede) e l’ingresso alla Casa Bianca di Joe Biden. Per rendersene conto è sufficiente leggere quanto ha twittato il prossimo segretario di Stato statunitense, Anthony Blinken, che ha definito gli arresti degli attivisti pro democrazia a Hong Kong “un assalto a coloro che coraggiosamente si battono per i diritti universali”. “L’amministrazione Biden-Harris”, ha avvertito, “starà dalla parte della gente di Hong Kong e contro di giro di vite di Pechino sulla democrazia”.

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