Prima vittoria in tribunale per il fondatore di WikiLeaks. La giustizia britannica ha respinto la richiesta di estradizione degli Usa. Mercoledì l’udienza sulla libertà su cauzione. Cosa rischia (e perché) Assange
Julian Assange ha vinto la prima tappa della battaglia contro l’estradizione negli Stati Uniti. Il giudice britannico, Vanessa Baraitser, ha deciso oggi che il fondatore di WikiLeaks non può essere trasferito negli Usa a causa del peggioramento della sua salute mentale e l’alto rischio di suicidio.
Le autorità hanno respinto le tesi sulla natura politica del processo e l’attacco contro i diritti umani. Per sostenere la decisione, hanno fatto riferimento alla diagnosi di psichiatri ed esperti che hanno esaminato Assange.
Inoltre, è stata analizzata la sua storia clinica e della famiglia, e sono stati sentiti i funzionari della prigione di massima sicurezza a Belmarsh, dove è recluso da aprile del 2019.
Per gli esperti, Assange soffre di depressione ricorrente, allucinazioni psicotiche, da moderate a gravi, ed episodi suicidi. In più, soffre anche del sindrome di Asperger.
Il giudice Baraitser ha anche deciso che Assange resti in regime di isolamento, e sia sottoposto ad altre misure di sicurezza speciali, finché non ci sarà il processo in Virginia. Gli avvocati della magistratura britannica hanno confermato l’intenzione dell’amministrazione americana di fare ricorso con la decisione di respingere la richiesta di estradizione.
Poche volte i giudici britannici hanno rifiutato le richieste di estradizioni presentante da Washington. Tra le eccezioni ci sono due casi di reati informatici, che lo stesso avvocato di Assange, Edward Fitzgerald, ha difeso.
COSA RISCHIA ASSANGE
Il Dipartimento di Giustizia americano chiede l’estradizione del fondatore di WikiLeaks per processarlo per presunti reati di infrazione della legge di spionaggio e per reati informatici. È anche accusato di cospirazione per avere e di diffusione di informazioni della difesa nazionale e irruzione informatica. In caso di essere dichiarato colpevole, Assange rischia fino a 175 anni di carcere.
Il tribunale in Virginia l’accusa anche di avere aiutato l’ex analista militare Chelsea Manning per violare illegalmente codici informatici ed arrivare così ad archivi secretati.
L’OMBRA DEL PROCESSO POLITICO
Per Nils Muižnieks, direttore di Amnesty International in Europa, è importante che la corte britannica abbia riconosciuto le condizioni di salute di Assange: “Tuttavia, le accuse nei confronti di Assange non avrebbero mai dovuto essere presentate: erano politicamente motivate e il governo del Regno Unito non avrebbe mai dovuto aiutare gli Usa nell’incessante ricerca dell’estradizione”.
“Constatare che la decisione della corte è corretta e salva Assange dall’estradizione non assolve le autorità del Regno Unito dall’aver voluto prendere parte a un procedimento politico nell’interesse degli Usa – ha aggiunto Muižnieks – e aver mandato a processo la libertà d’informazione e la libertà d’espressione. Si è trattato in ogni caso di un terribile precedente di cui gli Usa sono responsabili e il Regno Unito è complice”.
Mercoledì è attesa l’udienza in cui gli avvocati di Assange presenteranno la richiesta per la concessione del rilascio su cauzione, dopo la decisione di oggi sull’estradizione.
LA NOTA DEL M5S
In Italia, un gruppo di parlamentari del Movimento 5 Stelle si è pronunciato con una nota in Commissione Esteri: “Ci siamo sempre schierati in difesa di Julian Assange, per questo non possiamo che dirci soddisfatti per il verdetto, appena emesso dal tribunale britannico, che nega la sua estradizione in Usa dove rischia di scontare una pena di 175 anni”. I deputati sostengono che “attraverso la sua azione, Assange ha svelato le condotte illegali o minacciose di organi istituzionali e di potenti lobby. La sua Wikileaks ha consentito alla democrazia contemporanea di superare e mostrare i limiti del giornalismo tradizionale. Eravamo preoccupati del verdetto di oggi perché se la Corte britannica avesse concesso estradizione, saremmo stati di fronte alla definitiva morte del giornalismo investigativo, oltre che ad aprire una profonda riflessione sul mancato processo di democratizzazione dell’informazione”.
“Ma adesso – concludono – non bisogna abbassare la guardia perché la vicenda è ancora aperta. Ci auguriamo, infatti, che continui la mobilitazione internazionale per la liberazione di Assange, ormai divenuto simbolo da difendere per un’informazione indipendente e libera”.