Alessio Bertallot è una figura storica nel mondo della radiofonia. Musicista, autore e Dj, dal 2013 conduce Casa Bertallot in streaming e podcast.
L’arte da sempre tenta di interpretare i tempi. Purtroppo oggi questa interpretazione manca perché il mondo della cultura sta vivendo un periodo buio. Da dove ripartire?
Ritengo che il problema sia proprio alla radice. Dobbiamo rifondare tutto. Occorrerebbe un piano collettivo e ambizioso sul futuro.
Sta emergendo qualcosa dal sottobosco culturale?
Al momento no, siamo nel bel mezzo della notte. La sensazione psicologica è quella di un assedio. Non esiste un’ agglomerazione di energie positive, forse perché è difficile dare una dimensione strategica e prospettica sul futuro.
Tuttavia, dobbiamo darci una scossa, iniziando a compiere piccole azioni individuali affinché si creino delle risposte che siano poi mirate e rifondative. In fin dei conti i grandi fiumi nascono sempre da un enorme quantità di piccoli affluenti.
Simon Reynolds, uno dei più grandi critici musicali contemporanei, qualche anno fa ha scritto il saggio Retromania, rievocando una nostalgia per il passato. Da poco è uscito Futuromania. Ritieni che questa congiuntura possa originare una spinta innovativa o continueremo a crogiolarci nella nostalgia del passato?
Sono sempre stato dell’idea di esplorare il futuro. Ho vissuto gli anni ‘80, ‘90 e i 2000 e posso dire che in questi decenni un musicista, un dj o un artista avevano come obiettivo quello di inventare qualcosa di nuovo, non legato necessariamente ai cliché nostalgici del passato. Il postmodernismo ha portato con sé una certa dose di decadenza. È probabile che siamo entrati nel tramonto dell’Occidente.
NecessAria è la tua installazione sonora come risposta artistica alla marginalizzazione di molte categorie.
Il primo obiettivo di NecessAria è quello di rafforzare un nuovo tipo di economia per sostenere gli autori anche attraverso la disintermediazione.
Cosa intendi?
Sono produttore, distributore e ho una community che mi segue. Ho quindi un rapporto diretto con coloro che potrebbero fruire dei contenuti.
Nel mondo dell’arte, della cultura e della musica, oggi non esiste più un’economia. La maggior parte dei musicisti non vivono dei click su YouTube o Spotify. Va da sé che il non poter fare spettacoli dal vivo ha reso la situazione degli artisti insostenibile.
Mi inquieta che molta parte della cultura sia stata definita “Non Necessaria”. Per quanti mesi pensiamo di poter vivere di questa miserabilità?
Com’è invece il trend per il fisico?
Questa crisi potrebbe anche obbligarci ad esplorare nuovi paradigmi rispetto al live. Non credo che lo streaming sia per forza negativo, non credo nemmeno che sia sostitutivo dei concerti. Penso che possa essere un alleato, qualcosa di alternativo e integrativo.
Negli anni ‘80 sono arrivate i primi strumenti musicali elettronici, come ad esempio la batteria Roland TR 808. Successivamente sono arrivati i primi campionatori. All’inizio erano considerati come sostitutivi rispetto ai musicisti, poi si è capito che erano lì per nuove forme musicali. Questa irruzione della tecnologia nella musica ha tracciato una strada nuova, cambiando di fatto l’estetica della musica negli anni a venire. Credo che sarà così anche ora.
Hai un occhio molto attento sulle nuove tendenze musicali. Cosa intravedi per il futuro?
Trovo molta creatività nella generazione di nuovi musicisti italiani. Si sta uscendo dai sensi unici dell’indie e del trap. Mi sto concentrando su una nuova idea di canzone italiana che non è classificabile: ad esempio Ginevra e Venerus. Iniziano ad esserci delle periferiche interessanti.