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Conte e Renzi fra sogno e azzardo. La crisi secondo Rotondi

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Accade ai leader di voler sfidare ogni tanto la ragionevolezza, per cercare nel sogno e nell’azzardo quella ragione che la realtà concreta rilutta a riconoscere. Matteo Renzi è fra questi. Il commento di Gianfranco Rotondi

La prima domanda che suscita la crisi di governo è birichina: sarà mica il ‘papeete’ di Matteo Renzi? Secondo me sì.

Allo stato non è neppure chiaro se la crisi si aprirà, ma ragionevolmente Renzi non potrà tornare indietro e aprirà la crisi. Dopodiché lui dice che comunque vince: se Conte va avanti, si accomoda all’opposizione festante e applaudito; se Conte cade, ne ha ottenuto l’agognato scalpo.

Renzi trascura che gli altri non sono figurine teatrali a cui lui assegna una parte: gli altri in politica sono imprevedibili, anche quando li conosci bene.

Primo scenario renziano: Conte trova i numeri al Senato e salva la pelle, il Matteo di Rignano si accomoda accanto al Matteo di Milano all’opposizione e ‘va verso la vita’ (sulla rotta opposta rispetto al D’Annunzio folgorato a sinistra, Renzi la vita se la rifà a destra ).

Non andrebbe così: a destra non aspettano Renzi, non vogliono tra le scatole i centristi che già ci sono, figuriamoci se vanno a cercarsi un monumento ingombrante come Matteo Renzi. Quanto a Forza Italia, difficilmente si caricherebbe Matteo e il suo plotone di parlamentari in cerca di un collegio. Anche Mastella ebbe dal centrodestra un applauso da stadio quando abbattè Prodi, ma poi non ne fu candidato.

Secondo scenario: Conte cade, Renzi stappa il prosecco conservato in frigo da un anno, ma la festa finisce lì. Il giorno dopo ha il colore di un governo a vasta maggioranza in cui ‘Italia Viva’ non conterebbe niente, o la tinta fosca di una campagna elettorale fatale per tutti i cespugli privi di radicamento elettorale solido.

Tutte queste cose a Renzi è superfluo dirle: le sa. Ma accade ai leaders di voler sfidare ogni tanto la ragionevolezza, per cercare nel sogno e nell’azzardo quella ragione che la realtà concreta rilutta a riconoscere. Magari gli andrà bene, chissà.

Chi sicuramente ne trae vantaggio è il centrodestra, nel cui cesto casca un vantaggio elettorale scontato e crescente. Ma da quelle parti neppure si respira aria di trionfo: nel proporzionale la coalizione porta a casa metà dei voti, ma l’altra metà va ai concorrenti, che, se tutti riuniti, comunque fanno un bel bottino. E nei collegi uninominali la prevalenza delle destre è certa solo in Lombardia e Veneto, nel resto del Paese assai meno. Da Firenze in giù, poi, si profila un monocolore giallo-rosso, con o senza lista Conte.

Questo spiega perché i realisti del centrodestra ipotizzano un loro governo in questa legislatura: forse sarà più semplice reclutare una cinquantina di parlamentari che una cinquantina di collegi vincenti in ipotetiche elezioni più in bilico di quanto sembri.

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