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Tutti i paradossi del braccio di ferro fra Conte e Renzi. La bussola di Ocone

Può un Paese essere ostaggio di una battaglia all’ultimo sangue fra un premier senza una forza politica alle spalle e un leader che ne ha una che si aggira, secondo i sondaggi, intorno al 2%? La bussola di Corrado Ocone

È paradossale, e nello stesso tempo fin troppo chiarificatore dello stato comatoso della nostra politica, considerare che le sorti del governo dipendano ormai dall’esito del braccio di ferro fra il presidente del Consiglio e il leader di Italia Viva. Uno scontro che segnala la distanza effettiva fra le istituzioni, in questo caso il governo, e il popolo elettore; oppure, vista la cosa da un’altra prospettiva, l’assoluta mancanza di quegli aggregati di mediazione che erano un tempo i partiti politici.

Può un Paese essere ostaggio di una battaglia all’ultimo sangue fra un premier senza una forza politica alle spalle e un leader che ne ha una che si aggira, secondo i sondaggi, intorno al 2%? E il punto di non ritorno a cui siamo giunti è segnalato anche dalla sostanziale impotenza delle due forze maggiori della coalizione, pentastellati e democratici, che, nonostante la loro preponderanza, non riescono a imporre una loro mediazione. Dando anzi l’impressione di essere a loro volta divisi sulla permanenza a Palazzo Chigi di un premier che in fondo non amano e che è riuscito a prendere per sé un potere spropositato. E, paradosso su paradosso, la forza che non indietreggia minimamente dalle sue non poche richieste (e non poche accolte) è la stessa che più avrebbe interesse a non andare al voto.

Ad un Matteo Renzi che minacciava stamattina una débacle parlamentare e personale per un Conte che mettesse ai voti la fiducia in Parlamento, ha fatto eco nel pomeriggio una Teresa Bellanova che ha lanciato l’ennesisimo penultimatum (“il tempo è davvero finito”, ha detto). La soluzione delle urne in tempi normali sarebbe stata da un bel po’ messa in atto, senza che, nel mezzo di una emergenza quale quella attuale sanitaria, ci si incaponisse a prolungare uno stato di agonia catatonica. In tempi normali, cioè “razionali” (nella misura in cui può esserla la politica), ci si sarebbe anche aspettati che un Matteo Renzi si fosse incamminato lungo questo interminabile sentiero avendo già una soluzione in mano, o provando a immaginarla e caso mai a perfezionarla strada facendo prendendo contatti e simili. Nulla di tutto questo risulta. Così come sarebbe sembrato normale che un premier, già debole politicamente (altra cosa è il potere personale conquistato), non si affidasse come extrema ratio al voto parlamentare, confidando, oltre che su qualche palese “responsabile”, sui molti e “nascosti” deputati che di tornare a casa proprio non hanno voglia (difficilmente sarebbero rieletti).

La domanda che poi è da farsi: ammesso e non concesso che la situazione si ricomponesse, quale clima, già di fatto non idilliaco, vigerebbe fra i partner della maggioranza? E come si può mai pensare di mettere su con tante e trasversali fratture e divisioni non dico una politica credibile, ma nemmeno un Recovery Plan soddisfacente per l’Europa che deve erogarci quei soldi senza i quali andremmo a fondo in un minuto? A troppi non piace, ma se al voto proprio non si vuole andare, chi scrive non vede altra soluzione che un governo di alto profilo guidato da Draghi e con Lega e Forza Italia che danno un appoggio esterno come faceva il Pci nella fase più buia della stagione terroristica. Credo che anche Bruxelles approverebbe. E soprattutto, si spera, le forze politiche potrebbero finalmente avere il tempo per ripensarsi e provare a creare un terreno più adatto per le sfide del domani.

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