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Pandemia, causa o effetto della crisi di governo?

Di Angelo Lucarella

L’apertura di una crisi, per quanto insperabile, è pur sempre un momento di riflessione in cui occorre ritrovarsi sulle cose che contano di più. E ce ne sono due per ora irrinunciabili: la vita delle persone e la democrazia. Se la democrazia (non) è partecipazione serve, comunque, spirito Costituente. L’intervento di Angelo Lucarella, avvocato e vice presidente coord. commissione Giustizia del Mise

Renzi ritira i ministri di quota dal governo. Primo atto. Il presidente Giuseppe Conte sale al Quirinale. Secondo atto. Tra il primo ed il secondo atto si consuma politicamente il governo Conte II.

I commenti più diffusi risaltano, da una parte, l’irresponsabilità di Matteo Renzi e, dall’altra, la necessità di andare al voto anticipato. Nell’intimo, però, di entrambi i due sentimenti si nasconde un’unica “speranza” quasi come fosse una terza via: che Conte non porti né ad escludere Renzi dalle dinamiche del probabile esecutivo Conte ter, né a condurci al voto anticipato. Cioè tenendo Italia Viva in maggioranza occulta fino al voto mattarelliano.

Le ragioni appaiono semplici. Con Renzi escluso si creerebbe di fatto un centro liberal-democratico che potrebbe federarsi, anzitutto fuori dal Parlamento, conglomerando tutte le forze politiche che da centrodestra (esclusi Lega e Fratelli d’Italia) vanno sino ad Italia Viva stessa escludendo, certamente sul fronte del centrosinistra, il Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Leu (Liberi ed uguali). Una somma di forze cospicua (tra il 10 e 15%) stando ai sondaggi più aggiornati.

Con il voto anticipato, invece, tenuto conto dell’attuale regola elettorale, si andrebbe comunque a doversi riassorbire, soprattutto ove vige la quota a maggioritario, l’intera compagine di coalizione appena sfaldatasi con le dimissioni dei ministri di Italia Viva renziani.

Il fatto sarebbe in sé conveniente sia per Renzi che per il centrosinistra in quanto tale perché, se le proiezioni di voto degli italiani dovessero essere confortate da un’ipotetica prossima tornata elettorale, vi sarebbe la necessità per costoro di fronteggiare un fortissimo appeal meloniano-salviniano; duo che si arresta, quanto ad attrazione, sul confine perimetrale con i c.d. moderati.

È qui che scende in campo la tattica politica la quale, appunto, non è fuori dal perimetro delle necessità della democrazia; essa è la democrazia specie in un Paese basato sulla centralità del Parlamento.

Ora, è chiaro che in una situazione emergenziale pandemica una crisi di governo non è che sia la cosa più bella al mondo, ma occorre, con tutta la sensibilità possibile, decifrarne la portata.

La mossa di Matteo Renzi non è del tutto contro il Movimento 5 Stelle e/o il Partito Democratico e/o l’ipotesi (del tutto idealizzata da una sola parte) di ciò che il Paese vorrebbe in questo momento storico.

Potrebbe addirittura rafforzare il sodalizio politico tra le segreterie le quali non tendono, geneticamente, a farsi contrasto l’un con l’altra: Zingaretti e Crimi necessitano dell’esistenza di Giuseppe Conte nella misura in cui è grazie a quest’ultimo che si è potuto sperimentare, embrionalmente, il nuovo “arcobaleno” o, almeno in una strana accezione, di una sorta di “Ulivo 2023”.

Si badi bene che il capo politico di Italia Viva ha avuto l’intuizione di differire la sofferenza originata della vivente legislatura al fine di andare avanti dopo l’esperienza del governo gialloverde; il fatto, poi, che ai democratici ed ai pentastellati sia convenuto o meno un cambio totale di vedute gli uni sugli altri, post crisi salviniana di agosto 2019, equivale a dire che oggi si è dinanzi allo stesso gioco di convenienza.

La realtà ci pone tutti dinanzi ad una evidenza generatasi proprio dalla mossa di Renzi: il centrosinistra ha un “riferimento d’area” riconosciuto sul piano nazionale, europeo, internazionale. Si chiama Giuseppe Conte.

Il Quirinale lo sa bene tanto che, per fronteggiare la crisi, benedice Renzi al quale ultimo, ora e sottotraccia, spetta costruire una terza area: contraltare del populismo, da una parte; compagine integrante proprio della insperata (o sperata a seconda dei punti di vista) ricucitura con Pd e M5S dall’altra parte.

Cosa, quest’ultima, che servirà strumentalmente in vista dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica e, non meno importante, delle elezioni del 2023.

In un certo senso era tutto calcolato. Tutto previsto. Tutto annunziato proprio con l’accordo di nascita del Governo Conte bis allorquando le forze pro-accordo con il Movimento grillino, pur di non andare al voto anticipato causa contratto di governo, si fomentarono vicendevolmente sulla spinta d’opportunità renziana.

Oggi, però, la situazione va considerata alla luce della pandemia.

Tra il primo ed il secondo atto di cui sopra sorge la domanda più importante. E ora si va al voto o si fa il tutto per tutto?

A parte che non è un male votare in sé per sé. La partecipazione degli elettori è il sale della democrazia: come pure accade durante la pandemia in tanti altri paesi del globo; il tutto solo qualora dovesse saltare dal piatto ogni possibilità complessivamente attendibile di ricomposizione della maggioranza o, addirittura, di comporne un’altra di centrodestra (salvo la residua ipotesi di un governo di mantenimento legislatura sotto la protezione di Mattarella affidando il tutto ad un tecnico o al presidente del Senato l’incarico).

Tentare, quindi, di formare un nuovo governo o mantenere quello ancora esistente (ma con supporto diverso)?
Residuano ancora alcune ipotesi sul punto in questione partendo, però, dal netto e secco out out dei partiti dell’esecutivo nei confronti di Italia Viva e cioè di Renzi; senza quest’ultimo Giuseppe Conte può ancora mantenersi, numericamente parlando, se convince buona parte dei senatori “indipendenti” e, addirittura, se “scilipotizza” alcuni di Forza Italia dando spazio al c.d. “movimento di responsabilità nazionale 2.0”. Movimento a fondarsi, evidentemente, partendo da un Presidente onorifico prima ancora che dalla partecipazione costitutiva di altri: cioè Beppe Grillo.

Il titolare morale del M5S con l’appello del “tutti dentro”, lanciato sui social il 13 gennaio scorso, ha definitivamente chiarito che il grillismo di fatto, ormai, è un partito come tutti gli altri e, anzi, più degli altri.

Una chiamata a non far cadere Conte senza precedenti; Grillo sa bene che dopo l’avvocato del popolo ci potrebbe essere spazio al fatto che il popolo inizi a fare l’avvocato da sé qualora la politica (quella oggi al potere) non dovesse essere all’altezza della promessa di “Vaffa memoria”: aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.
Grillo vuole che la politica non sia all’altezza e passi sempre più questo messaggio.

Non si dimentichi una cosa importante però: il grillismo nasce sulla scorta di una sorta di ripicca nei confronti della dirigenza Pd da parte di Grillo medesimo che in quel partito voleva prender piede; il fondatore morale del M5S, dopo lo storico invito di Fassino, è riuscito a portare in Parlamento proprio quanto aveva promesso: comuni cittadini (come se già non c’avessero pensato i nostri Padri costituenti).

Siamo ai giorni nostri: un risultato è certo. Il fondatore morale del M5S è riuscito a portare in Parlamento proprio quanto aveva promesso: comuni cittadini (come se già non c’avessero pensato i nostri Padri costituenti).

Altrettanto è riuscito a portare al Governo una persona senza passato politico: Giuseppe Conte, ma il punto è il senso delle parole di Grillo dinanzi a quanto successo il giorno 13 scorso.

Non c’entra alcunché la pandemia in tutto questo perché i medici, gli infermieri e chiunque abbia dovere di professionalità e/o amministrazione, gestione commissariale, ecc. lo continua e continuerà a fare (in virtù anche dell’art. 54 della Costituzione: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore… omissis”).

Stessa cosa dicasi per il governo e il Parlamento finché Mattarella non deciderà in merito alla crisi parlamentare stessa (che, quindi, non è governativa in senso stretto poiché l’esecutivo agirà, comunque, sulla base del principio di continuità); ciò tenuto conto anche del ruolo di Conte finché non riuscirà a trovare i numeri per mantenere la fiducia di una maggioranza, politicamente parlando, ormai ridotta ad elemento figurativo e supina rispetto al concettualismo dei “pieni poteri” (legato all’originaria filosofia del vaffaday).

Allora è proprio qui che Renzi legittima, con l’apertura della crisi, la eventuale forza politica di Giuseppe Conte che, da non politico, si ritrova ad essere unico garante-leader di una colazione di centrosinistra la quale, pur di non soccombere all’evidenza del dato elettorale derivato dal 4 marzo 2018, cerca nel segno del principio di scilipotizzazione, mascherato da un new age approccio mastelliano, di arrivare fino al semestre bianco di luglio 2021.
Ma è proprio Mastella, in soccorso di Conte, che intravede una strada ibrida per mantenere in vita l’esecutivo a guida Cinquestelle, magari in versione ter (quasi preannunciando il quater eventuale post elezione del prossimo Presidente della Repubblica), accennandone il possibile scioglimento del solo Senato come detto durante la puntata di Stasera Italia in onda su Rete 4 la sera del 13 gennaio. Ipotesi, questa appena richiamata, prospettata dallo scrivente già in un editoriale del 23 settembre 2020 pubblicato all’indomani del voto referendario sul taglio parlamentari.

Il tutto per tutto si deciderà sulla prospettiva e cioè cosa vuol fare il Paese con il Mes e/o il solo Recovery plan. Conte pare il suo l’abbia fatto. Chi è intorno a lui? Chi sostiene il governo? Che cosa è stato proposto in Parlamento? Ora siamo alla conta.

Sullo sfondo la pandemia rimane, ma non può sostituire il corso naturale e dinamico della democrazia.
Perché se la vita è sacra, lo è anche il processo democratico. Ce lo raccontano ancora i morti delle guerre.
La pandemia non può essere la scusa di rendere emergenziale anche il processo politico in un paese a democrazia parlamentare perché se questo è vero, in termini assoluti di ragionamento, allora non deve darsi spazio all’opposto concetto ovvero che sia la politica ad esser la scusa di questa pandemia.

Non foss’altro, per assurdo, che dalle parole di Renzi si coglie un qualcosa di futuristico e che, in un certo qual modo, apre l’autostrada ad un tripolarismo integrato (da sinistra verso centrodestra) che tenda ad escludere, gioco forza, Lega e Fratelli d’Italia (si ricordi che si andrà a votare con il Rosatellum bis se non dovesse farsi una riforma elettorale a puro proporzionale).

Giuseppe Conte questo l’ha capito e molto bene. Forse il problema è proprio il dante causa: Beppe Grillo che, quale soggetto influente nel mondo pentastellato, non ha colto l’opportunità politica di ragionare in termini di utilità in favore del Paese come quando idealizzò il famoso “apriscatole del Parlamento”, metaforicamente parlando, da portare notte tempo in primis a Palazzo Madama.

L’apriscatole di cui parlava esiste già e si chiama Costituzione: strumento di portata elastica nel tempo e nello spazio per garantire proprio la democrazia; soprattutto quando la democrazia parlamentare pare non funzionare a causa dei suoi interpreti (stanchi o meno che siano). Su questo punto non c’è pandemia che tenga. Si può votare, se serve. Matterella lo sa.

E se il voto servisse proprio a recuperare il ritmo del passo tra Paese-reale e Paese-istituzione? In queste ore non è in discussione che tutta la politica sia con Conte per contrastare la pandemia. In queste ore è in discussione come rivitalizzare la politica di cui Conte, se espressione delle forze maggioritarie, non può fare a meno. Costruttori o responsabili che siano il punto è chi fa cosa e come lo pensa di fare.

Su questo Conte non c’entra, ma il Parlamento sì: il Presidente non viene dalla politica, ma Grillo sì.
Allora scenda in campo Grillo con serietà e si sporchi le mani per la nostra democrazia non lasciando soli coloro che ha portato volutamente al potere. Lo faccia con spirito costruttivo vero. Abbandoni la maschera, per una volta, e concili l’Uomo comune che dovrebbe essere nel suo intimo per metterlo a sevizio della gente comune senza adornare la linea politica con un “tutti dentro” in stile parigino dell’ottocento (si sa com’è andata a finire).

Un Paese senza opposizioni sappiamo cosa può diventare. Il passo è breve. L’apatia politica è come una bara. L’abitudine alla mansuetudine peggio ancora.

Se la democrazia (non) è partecipazione serve, quindi, spirito Costituente. L’apertura di una crisi, per quanto insperabile, è pur sempre un momento di riflessione in cui occorre ritrovarsi sulle cose che contano di più. E ce ne sono due per ora irrinunciabili: la vita delle persone e la democrazia.

Qual è l’augurio allora: che il grillismo abbia la capacità, ora più che mai, di ispirarsi a Conte nell’ottica di vestirsi d’abito costituzionale. È questo il messaggio di Renzi (letto tra le righe, si spera)?

Che il capo di Italia Viva possa essere affidabile o meno questo è un fatto di corollario dei rapporti personali tra gli attori oggi sul “palcoscenico” nonché di “retropalco”.

Ora conta ritrovare un Parlamento che abbia prospettiva. Con il voto o senza purché sia al centro della scelta.
E scusate se, in democrazia, questo è poco.

Nel frattempo Conte è ancora Conte e può, da non politico, garantire la politica stessa perché è Renzi che glielo chiede implicitamente; non più con la solita serenità, ma con la pacca berlusconiana pronta a rasserenare.

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