Diciassette firme per sbianchettare Donald Trump. È un primo giorno di duro lavoro per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Dopo l’inaugurazione, una sfilza di ordini esecutivi cancella buona parte della Trump Law. Il punto di Giampiero Gramaglia
È scattata una sorta di “damnatio memoriae” del magnate presidente, Donald Trump. Con 17 firme, nel suo primo pomeriggio di lavoro nello Studio Ovale, Joe Biden, 46° presidente degli Stati Uniti, ha già cancellato buona parte del lascito normativo del suo predecessore. Parlando all’America, Biden predica unità. E incontrando il suo staff, invita tutti a trattarsi con rispetto ed educazione, tratti molto carenti alla Casa Bianca negli ultimi quattro anni: “Se no, vi caccio”, ha detto, forse facendo il verso al boss di The Apprentice.
Nel suo ‘Day One blitz’, Biden ha varato una serie di decreti che riguardano pandemia ed economia, clima ed emigrazione, disuguaglianze sociali e relazioni internazionali. Qui c’è la lista completa.
Entro la fine del mese, nel giro di dieci giorni, molte delle decisioni di Trump saranno ‘rottamate’: ci sarà il ritorno degli Usa negli Accordi di Parigi sulla lotta contro il cambiamento climatico e nell’Oms; l’obbligo di indossare la mascherina negli edifici e sui mezzi di trasporto federali e pure il rafforzamento della campagna di vaccinazioni anti-coronavirus, in attesa di un pacchetto di aiuti da 1.900 miliardi di dollari; la revoca del ‘muslim ban’; lo stop alla costruzione del muro al confine con il Messico; la sospensione delle esecuzioni federali; il blocco dell’oleodotto Keystone; la revoca del bando dei transgender nell’esercito; una moratoria degli sfratti e dei fallimenti e del pagamento dei debiti per l’università. E l’invio al Congresso d’una proposta di legge per consentire a ‘dreamers’ e clandestini di acquisire la cittadinanza
Contemporaneamente, la nuova vice-presidente Kamala Harris ha fatto giurare tre nuovi senatori democratici: Alex Padilla della California, che la rimpiazza fino alla fine del suo mandato, nel 2002, e Jon Ossoff e Raphael Warnock, eletti nei ballottaggi in Georgia del 5 gennaio – Ossoff, 33 anni, è il più giovane senatore eletto da quando Biden nel 1972 ottenne il suo primo mandato a 30 anni -. Ora, il Senato è dunque controllato dai democratici: i seggi sono 50 pari, ma la Harris può esprimere il voto decisivo in caso di parità.
Biden, 78 anni, è il presidente più anziano mai entrato alla Casa Bianca e il secondo cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy, che resta il presidente più giovane. La Harris, 56 anni, è la prima donna vice-presidente e, ovviamente, la prima afro-americana e la prima di origine asiatica – la mamma era indiana -. “Non ditemi che le cose non cambiano”, esclama Biden nel suo discorso.
In serata, Biden, e la first lady Jill hanno partecipano allo show televisivo condotto da Tom Hanks, apparendo sulla Blue Room Balcony della Casa Bianca: l’evento ha sostituito i tradizionali balli, causa pandemia. Jill non potrà quindi donare l’abito da sera sfoggiato la sera dell’Inauguration Day al National Museum of American History, che ha una sezione dedicata alle first ladies.
Il ‘dopo Trump’ è cominciato nel momento in cui Biden ha solennemente giurato, con la mano sulla Bibbia di famiglia tenuta dalla moglie Jill, di fronte al presidente della Corte Suprema John Roberts. In un discorso breve, una quindicina di minuti appena, il neo-presidente insiste sull’unità e, senza pronunciare mai il nome del suo predecessore, ne denuncia, in modo indiretto, ma esplicito, i modi e la sostanza. “Abbiamo il dovere – dice – di sconfiggere le bugie”: è il suo epitaffio su quattro anni di menzogne spacciate per verità. Trump non sente: ha compiuto l’ennesimo – speriamo l’ultimo – sgarbo istituzionale, sottraendosi alla cerimonia.
Sarà anche vero, come twitta, a discorso concluso, un funzionario democratico, che “così si aprono quattro anni di noia”, perché Biden non è un oratore trascinante e affascinante, non ha l’empatia di Ronald Reagan, la capacità di mettersi in sintonia con il pubblico di Bill Clinton, il richiamo ideale di Barack Obama. Ma che distanza tra “the American carneage” di Trump 2017 e lo “stiamo uniti” di Biden oggi: “Dobbiamo porre un termine a questa Guerra incivile”, dove chi non la pensa come te è un nemico da annientare.
Il neo-presidente è contento, lo si vede; e concentrato. Intorno a lui, ci sono “un sacco di Biden”, nota scherzando Amy Klobuchar, maestro di cerimonie dell’evento, riferendosi a figli e nipoti. Ma chi lui sente più vicino in questo momento è il figlio assente, Beau, ucciso da un cancro al cervello nel 2015. E’ una cerimonia che esalta la diversità dell’America. Lady Gaga, origini italiane, canta l’inno; Jennifer Lopez interrompe la canzone per un’arringa in spagnolo; un cantante nero e repubblicano, quasi un ossimoro, Garth Brooks, esprime il suo rispetto.
Biden non cita mai Trump, ma ne fa risaltare l’assenza quando ringrazia i suoi predecessori che sono qui: Clinton, George W. Bush, Obama – manca il vecchio Jimmy Carter, 96 anni -. E lo evoca per contrapposizione fin dalle prime battute: “E’ il giorno dell’America, della democrazia… Oggi celebriamo il trionfo non di un candidato, ma della democrazia: la voce del popolo è stata ascoltata… La democrazia è preziosa, è fragile e ha prevalso…”.
Due settimane dopo l’assalto al Congresso istigato dal magnate incapace di riconoscere la sua sconfitta, “ne siamo usciti uniti… Siamo una nazione forte, siamo brava gente, abbiamo ancora molto da fare, ‘much to repair, much to restore’”.
Non è un programma, non è un discorso di economia, non è un discorso di politica estera. Cina, Russia, Europa, neppure un cenno. E’ il discorso di un americano agli americani, in un anno in cui l’epidemia ha fatto più caduti americani della Prima Guerra Mondiale, oltre 400 mila.
Biden cita Abraham Lincoln, un presidente repubblicano: “Quello che più conta è l’unità”, insiste, rimettere insieme la Nazione guarendola dall’odio, il risentimento, l’estremismo, la malattia; rendere l’America di nuovo capace di guidare il Mondo nella giusta direzione”, riprendendosi come fece dopo la Guerra Civile, la Grande Depressione, la Seconda Guerra Mondiale, l’11 Settembre. “Senza unità, non c’è pace, non c’è progresso, non c’è Nazione, solo caos… Ascoltiamoci, parliamoci, mostriamoci rispetto l’uno verso l’altro…”: il breviario d’un buon parroco, che deve riportare la concordai nel sue gregge sobillato da un eretico predecessore.
L’invito alla moderazione costituisce anche un segnale al suo partito, che non persegua vendette e ritorsioni. “Sarò il presidente di tutti e mi batterò per quelli che non hanno votato per me come per quelli che hanno votato per me”, dice parlando agli spalti delle autorità di fronte al Congresso e a una piccola folla in basso di un migliaio di persone, tutte con la mascherina, ben distanziate, nella giornata fredda in cui un refolo d’aria fa vibrare sul prato del Mall le 200 mila bandierine piantate per ricordare gli americani che non possono esserci e quelli che non ci sono più.