Oltre l’indignazione per l’assalto a Capitol Hill, sarebbe bene avviare una riflessione a freddo sul disagio sociale e politico che si cela alle spalle. Qualcuno, nel partito della Ztl italiano, rischia di commettere gli stessi errori di quattro anni fa. Il commento di Antonio Zennaro, deputato e componente del Copasir
Le immagini forti che sono arrivate da Washington con l’assalto al Congresso americano da parte delle frange più estremiste dei sostenitori di Trump sono un grosso danno d’immagine all’Occidente, indeboliscono il ruolo e il prestigio degli Usa nel mondo, ma sono anche il sintomo di uno scollamento tra ampi strati della società e il sistema politico ed economico.
Trump in una sola giornata ha perso tutta la credibilità e gettato alle ortiche una carriera politica. Rimangono però più di 74 milioni di americani che si sono sentiti rappresentati dalle sue idee e dalle sue istanze.
Per il nuovo presidente Biden e per i suoi sostenitori la sfida si fa molto più ardua: unire una nazione lacerata, ripristinare un’economica in difficoltà in tempi di pandemia mondiale e riuscire a resistere nella competizione globale tra super potenze, soprattutto alla Cina.
Lo scollamento tra classe dirigente e ampi strati della popolazione, soprattutto tra quella che una volta era la classe media, è sempre più evidente ed assoluto anche in termini di distribuzione della ricchezza. Con il Covid questa divaricazione è ulteriormente aumentata tra chi lavora nei settori premiati della globalizzazione, a partire dai giganti del tech.
La ricetta finora elaborata dalle élite occidentali, magari discussa in qualche hotel di Davos, sarebbe di un “lower your expectations” (abbassa le tue aspettative) e sii felice in un mondo ipertecnologico ma ecologico con meno proprietà privata e più sharing economy. Il problema è che questa “ricetta” non è applicata dalla potenza secolare emergente, la Cina, e soprattutto nel continente asiatico, dove l’economia continua a crescere, benché i diritti politici siano tabù.
Milioni di americani, come milioni di europei, non sono pronti ad accettare un futuro di declino senza prospettive, mentre i lavori tradizionali scompaiono o se ne vanno verso l’Oriente. Ecco il principale problema che si vuole tenere sotto il tappeto, pronto ad esplodere ai primi momenti di difficoltà.
Il tema rimane aperto non solo per i Repubblicani con la tv Oann e similari, ma anche a sinistra con tutta la galassia Black Live Matter. In Europa e ancor di più in Italia il tema del trumpismo viene vissuto da una certa “intellighenzia dominante” come un fenomeno da resettare e archiviare dal dibattito pubblico. Emblematico il tweet del sindaco di BergamoGiorgio Gori che definisce i sostenitori di Trump come “proletari, mi verrebbe da dire. Poveracci poco istruiti, marginali, facilmente manipolabili, junk food e fake news..”.
Trent’anni di globalizzazione senza regole, una rivoluzione tecnologica mai vista in una sola generazione hanno creato fortissime disparità all’interno delle società occidentali, Italia inclusa. Sottovalutare questa situazione, soprattutto per chi ha un elettorato di riferimento nella Ztl, è un grosso limite e non aiuta nel dibattito pubblico all’elaborazione di soluzioni e strategie.
E invece leader come Salvini e Meloni che hanno sostenuto Trump subiscono attacchi isterici da parte di chi ha sostenuto Biden. Come se la politica fosse mera tifoseria da stadio, come se non fosse normale aver sostenuto il candidato alla presidenza del Partito repubblicano americano.
Visti i problemi dall’altra parte dell’Oceano, per qualche ora non si è più parlato della situazione italiana, dove la crisi di governo non ha ancora trovato uno sbocco, almeno informativo, a livello parlamentare. Se Washington piange, Roma non ride. Tutti gli attori devono sentirsi ammoniti: parliamo di problemi epocali che non possono essere risolti con qualche rimpastino o cambio di poltrona.