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Vi spiego il doppio stress test per il governo Conte

La crisi di governo e i procedimenti in corso alla Procura di Bergamo sono gli stress test che deve affrontare l’esecutivo. Con un nesso politico fra i due: l’aver rifiutato nella primavera 2020, e ancora oggi, di avere accesso allo sportello sanitario del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Ecco perché secondo il prof. Giuseppe Pennisi

Il governo Conte è alle prese con un doppio stress test. Uno è molto palese: la ricerca affannosa di una maggioranza politica che gli consenta di traghettare sino al semestre bianco e anche successivamente, effettuando quel cambio di passo richiesto anche dai partiti e dai movimenti che ora lo sostengono. Un altro è meno visibile: viene dai procedimenti in corso alla Procura di Bergamo, e non solo, sulla conduzione della politica sanitaria al momento dello scoppiare della pandemia ancora in corso.

I due stress test hanno un nesso politico: l’aver rifiutato nella primavera 2020, e ancora oggi, di avere accesso allo sportello sanitario del Meccanismo europeo di stabilità (Mes).

Andiamo con ordine. Secondo informazioni giornalistiche, peraltro mai smentite, nell’indagine in corso alla Procura di Bergamo, saremmo arrivati alla pandemia senza il piano nazionale aggiornato, riveduto e corretto come richiesto dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). A fini meramente burocratici, avremmo presentato all’Oms un mediocre copia/incolla del piano 2006, che non teneva neanche conto della epidemia sviluppatesi negli ultimi anni. Non solo il piano pandemico è rimasto fermo al 2006, ma non è stato nemmeno attivato nonostante lo avesse esplicitamente indicato l’Oms, con l’alert del 5 gennaio dell’anno scorso. È quanto è venuto a galla dalle audizioni di una serie di dirigenti e tecnici del ministero della Salute che si sono tenute in questi giorni in Procura a Bergamo. Ci sarebbero stati tentativi di occultare un rapporto di ricerca della stessa Oms sulla materia, al fine di “non recar danno di immagine al Governo in carica”. Ciò avrebbe aggravato la pandemia ed avrebbe causato migliaia di decessi che si sarebbero potuti evitare.

Dalle varie deposizioni sarebbero emersi nuovi spunti di indagine, in particolare riguardo alla tranche sul piano pandemico influenzale e sulla sua mancata applicazione. Non solo quello italiano era del 2006 ma sebbene l’Oms avesse chiesto ad ogni nazione di rifarsi ai piani pandemici esistenti, nel nostro Paese, giocando sul fatto che non si trattava di influenza ma di un virus proveniente dalla Cina di cui poco si sapeva, è trapelato dalle testimonianze, si è “navigato a vista”. Sta ovviamente alla magistratura non al vostro chroniqueur appurare se ci sono stati reati, da parte di chi e di quale portata.

C’è, però, un chiaro aspetto politico, non giuridico: aver affrontato la pandemia senza un piano (peggio, dopo avere presentato all’Oms un copia/incolla raffazzonato) chiama in causa responsabilità politiche soprattutto di chi fa leva sulla pandemia per avere poteri eccezionali e bloccare cambiamenti di governo e libere elezioni.

A riguardo è importante tenere presente le conclusioni emerse da un’analisi di un gruppo di lavoro di quel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), che secondo la Costituzione, è il principale consulente istituzionale di governo e Parlamento, quali che siano le task force e le cabine di regia che vengano create.

Dal documento, ancora in bozza, emergono alcune conclusioni generali: “Durante l’epidemia è emersa l’importanza di una adeguata dotazione organica del personale e della formazione, in particolare per quanto riguarda la preparazione degli operatori sanitari, e specie di fronte alle emergenze di natura epidemica. Si è reso evidente, inoltre, che la scienza medica e la clinica hanno raggiunto un tale livello di sviluppo e complessità tanto da richiedere soluzioni ed interventi complessi che non possono essere gestiti da un solo operatore né da una sola branca della medicina. È il tema della iper-specializzazione e della necessità di creare reti cliniche interdisciplinari secondo una visione olistica. Nella gestione della pandemia si è confermata una grave difficoltà gestionale nel lavorare in forma collaborativa tra istituzioni centrali (ministero, Iss) e autonomie regionali, frutto delle difficoltà createsi a seguito della modifica del titolo 5° della Costituzione (nel 2001) e alla poca chiarezza sulla “catena di comando”.

È stata evidente la debole connessione tra governo della salute collettiva e gestione della salute individuale, strettamente legato all’accentramento delle funzioni di cura sulle strutture ospedaliere e alla scarsa capacità di cura e assistenza integrata territoriale.

Non ultimo, è tornato a galla il problema legato al ruolo dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta e alla peculiarità del loro rapporto con il Ssn, definito da una convenzione nazionale le cui regole e remunerazione non favoriscono la piena integrazione nel sistema dei servizi ed il lavoro multidisciplinare.

Queste considerazioni indicano che la primavera scorsa il governo avrebbe dovuto far ricorso allo sportello sanitario del Mes per tentare di porre rimedio alle esigenze finanziarie del sistema sanitario, dopo anni di riduzione delle allocazioni. Esigenza ancora più forte oggi in piena seconda ondata di un virus caratterizzato da mutazioni sempre più virulente.

In altri Paesi Ocse, lo stress test sanitario e la sua gestione approssimativa avrebbero indotto il governo a chiedere scusa ai cittadini e a dimettersi. Ma come diceva Pirandello, “ciascuno a suo modo”.

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