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Fare Memoria non è retorica, ma narrazione di sentimenti. Parla Dureghello

Da Sami Modiano e Liliana Segre, che con il loro esempio portano avanti la Memoria, ai social e al lavoro da fare sui giovani contro il negazionismo. Conversazione con Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma. Per non dimenticare e tenere sempre alta l’attenzione su temi che non sono affatto sopiti, in occasione della Giornata della Memoria

Oggi 27 gennaio è la Giornata della Memoria, una data simbolica nata per commemorare le vittime dell’Olocausto. Quel 27 gennaio 1945 i soldati sovietici dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz, il campo di sterminio in Polonia, dove erano rimasti almeno settemila prigionieri e le tracce dell’uccisione di massa perpetrata dai nazisti.

Per non dimenticare e tenere sempre alta l’attenzione su temi che non sono affatto sopiti, Formiche.net ha raggiunto Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, in questa giornata romana fredda e colma per lei di impegni.

Presidente, la Shoah è una ferita che non si rimargina, ma dalle tragedie si impara a non ripetere gli stessi gravi errori. Voi come Comunità ebraica di Roma cosa avete organizzato per il Giorno della Memoria?

Dalle tragedie si dovrebbe imparare a non ripetere gli stessi errori, questo è l’impegno. Ma chiariamo innanzitutto che per noi la Memoria è sempre, tutto l’anno. Non soltanto come impegno sociale e civile ma anche come cultura tradizionale religiosa che si sviluppa nel tempo. È evidente che in questo periodo particolare dell’anno si concentrano una serie di iniziative che ci vedono partner o protagonisti. Quest’anno ovviamente in linea anche con quello che è il periodo terribile che stiamo vivendo, ci siamo prodigati di utilizzare i canali social e le tecnologie per andare a colmare l’impossibilità di fare eventi in presenza.

Ma le iniziative anche in tempo di pandemia sono molte.

Abbiamo partecipato ad appuntamenti nelle scuole, nelle università e nelle varie associazioni. In più i nostri dipartimenti, dall’Archivio storico al Museo ebraico hanno diffuso e condiviso un approccio alla storia della Comunità ebraica romana fondato sulle fonti.

Ad esempio?

In particolare con l’archivio abbiamo parlato di ciò che è accaduto dopo il 16 ottobre 1943 (giorno del rastrellamento del Ghetto di Roma, ndr), spesso periodo che viene dimenticato, ma importante in termini di indifferenza, violenza e responsabilità della città rispetto a ciò che accadeva. Non dimenticando anche la sensibilità di persone veramente degne. Il museo invece ha attivato un podcast per raccontare attraverso gli occhi dell’allora presidente come la Comunità affrontò dall’8 settembre del ’43 quelle giornate terribili, dalla raccolta dell’oro, alle attività degli uffici comunitari, con l’intento di mettere a disposizione questo patrimonio per la città e per chi ne volesse beneficiare. Inoltre, fra gli altri eventi, la Fondazione del Museo della Shoah inaugura una mostra oggi sugli italiani deportati, Dall’Italia ad Auschwitz.

Gli eventi organizzati culminano con un appuntamento inedito questa sera.

Questa sera per la prima volta saremo al quartiere romano dell’Eur, al Palazzo dei Congressi, che ospiterà un videomapping, un racconto attraverso le immagini promosso da Eur Spa di Alberto Sasso. L’Eur rappresenta un luogo emblematico di un certo periodo storico (fu costruito proprio sotto il Fascismo, ndr) per una attività di questo tipo. Da alcuni è ancora considerato un modello e un esempio e ha sicuramente un valore estremamente significativo. Per due ragioni: la prima perché il quartiere si ispira chiaramente a una determinata ideologia, l’altra perché è un decentramento della Memoria, che non è soltanto centrale o accentrata nelle mani di qualcuno, ma invece si decentra e si diffonde sul territorio.

Proprio rimanendo sulla diffusione di ciò che è accaduto, Sami Modiano e Liliana Segre sono oggi due testimoni che rappresentano la Memoria. Due persone che hanno saputo applicare in vita quei principi di solidarietà, tolleranza, pace e fratellanza che hanno imparato dalla tragedia vissuta.

Hanno sempre rappresentato il vero significato del fare Memoria. Fare Memoria non è un’attività retorica, banale o superficiale. È il senso di una narrazione di sentimenti e sensazioni che hanno provato sulla loro pelle o visto con i loro occhi e che ci portano e ci consegnano con gentilezza, con rispetto e con dignità. E per alcuni a volte con tanta vergogna, che ha impedito a molti di raccontare la loro esperienza o che ha indotto molti altri a raccontare più tardi. Con la “colpa” di essere sopravvissuti ma anche con il coraggio, senza mai usare parole di odio, vendetta o di prevaricazione sull’altro. Avrebbero potuto o fare qualunque cosa probabilmente, ne avevano tutto il diritto, ma al contrario da loro emerge un messaggio positivo ed è questo che significa Fare Memoria.

Loro sono stati e sono tuttora un esempio, l’essere oltre l’apparire.

La sostanza della Memoria è il valore che ti porti dentro, è il gene che porti nel tuo Dna che è condizione di sopravvivenza per l’umanità, non solo per il popolo ebraico, ma per tutti i perseguitati e non. È proprio una condizione valoriale e culturale che non ci può mancare. E loro, i testimoni, ci ricordano che quel gene c’è e dobbiamo solo trovare il coraggio di farlo prevalere nel momento in cui veniamo sollecitati.

A proposito di questo, i social network sono spesso finestre da cui si affacciano odio e razzismo. Facebook e Twitter si stanno muovendo contro i contenuti che negano l’Olocausto. Che cosa pensa di questo?

Le do una notizia. Facebook da oggi, per ora in inglese poi verrà tradotto in altre lingue, introduce un nuovo presidio contro la disinformazione e la negazione della Shoah e dell’antisemitismo e contro tutte le fake news che intorno all’argomento si diffondono. Un’operazione simile a quella che è stata fatta per il Covid da quando la pandemia è arrivata e rispetto anche a tutte le teorie complottiste e negazioniste e quant’altro. È un’attività di sensibilizzazione puntuale, necessaria e dolorosa per cui la piattaforma si è resa conto di dovere intervenire ulteriormente, anche perché durante la pandemia i picchi di antisemitismo e fake news sui social hanno raggiunto cifre inaccettabili.

Una ricerca Eurispes dell’Ottobre scorso indica infatti che i negazionisti sono passati in 15 anni da 2,7% al 15,6%. Quale è secondo lei il vero fulcro del problema sul web?

Da una parte i social sono uno strumento meraviglioso e fruibile per i ragazzi. Dall’altro possono diventare uno strumento di vera e propria propaganda e reclutamento. Se negli anni Trenta era la stampa che veicolava la propaganda, adesso gli strumenti sono i social network. Da qui la scuola così come tutte le parti sociali, come la famiglia, le istituzioni, le confessioni religiose si devono fare carico di diffondere ai ragazzi la capacità di discernere fra ciò che è giusto e ciò che non lo è, maturando la coscienza critica che imponga loro di verificare sempre le notizie che gli arrivano, capendo la differenza anche tra libertà di opinione e offese antisemite. Questo è il grande problema, anche perché siamo di fronte a una operazione di reclutamento. Gli odiatori non si improvvisano tali. Fanno parte di un sistema che attiva una macchina che ha bisogno di forze ed energie e oggi tali energie provengono dalle fasce di giovani che spesso vivono un disagio o semplicemente hanno difficoltà di comunicazione, conoscenza, approfondimento, solitudine, isolamento: tematiche che purtroppo conosciamo tutti.

Per concludere ci può consigliare un film e un libro sia per i più piccini, per introdurli a questi temi, sia per i più grandi per approfondire?

Recentemente molte sono le pubblicazioni per i bambini. Consiglio un cartone animato molto significativo, La stella di Andra e Tati, che narra la storia di Alessandra e Tatiana Bucci che furono rinchiuse con mamma e nonna proprio ad Auschwitz. Tornarono solo loro dal campo di sterminio, perché scambiate per gemelle e sottoposte ad esperimenti. Un primo passo per avvicinare i più piccoli può essere questo, come anche la mia prima lettura da bambina che è il libro Un sacchetto di biglie di Joseph Joffo. Ogni tanto ancora oggi sfoglio qualche pagina per leggere di questi due bambini francesi che da Parigi intraprendono un viaggio per scappare dai nazisti. Una storia drammatica, ma raccontata con tenerezza e soprattutto con un lieto fine. Perché è importantissimo trasmettere ai bambini la speranza e la fiducia, mai smarrimento. Per i più grandi consiglio anche Il Diario di Anna Frank. Mentre per gli adulti tutto ciò che volete, un viaggio nelle nostre istituzioni che raccolgono testi e documenti.

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