C’è sintonia nella compagine di governo sui temi economici? Lo si vedrà nelle prossime settimane o si “tirerà a campare” sino al “semestre bianco” in omaggio a quella “politica del sedere” in base a cui il primo obiettivo dell’azione politica è quello di avere uno scranno su cui sedersi? L’analisi di Giuseppe Pennisi
Ove al prof. avv. Giuseppe Conte fosse mancato quel pizzico di ego che è comunque essenziale per essere inquilino del piano nobile di Palazzo Chigi, glielo avrebbe inculcato in poche sedute il suo portavoce e personal trainer Rocco Casalino. Quest’ultimo, però, non ha dovuto faticare troppo. Il prof. avvocato è tornato a Palazzo stanco ma soddisfatto delle due giornate campali a Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama.
Ora, però, è alle prese con la definizione del patto di legislatura che il segretario del Partito democratico (Pd) chiede da tempo e che sino ad ora pare non sia stato concluso principalmente a ragione delle differenze profonde tra Pd, Liberi e Uguali (LeU) e Italia Viva, da un lato, e Movimento Cinque Stelle (M5S), dall’altro. Queste divergenze sono state appianate dal timore di andare alle urne o dall’innesto di nuovi virgulti nella maggioranza dopo l’adieu di IV?
Vale la pena chiederselo prima di discettare se nelle prossime settimane o mesi, l’Italia sarà governata da un Conte ter o da un Conte due “extended”, interrogativo poco pertinente perché la nuova compagine appare più fragile della prima a gran parte dei commentatori politici. Occorre anche domandarsi se la scelta europeista ed atlantica del presidente del Consiglio prof. avvocato Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Sig. Luigi Di Maio sia frutto di una “conversione sulla via Damasco” o semplicemente un aspetto di quella “doppiezza”» (da non confondere con mero, e per certi aspetti volgare, “trasformismo”) che in Italia ha precedenti nobili al crepuscolo dell’età giolittiana (illustrati nel romanzo “L’Imperio” di Federico De Roberto) nonché negli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, dalla “svolta di Salerno” alla fine degli anni Sessanta.
La “cartina di tornasole” sarà come la nuova maggioranza relativa risponderà alle richieste di Pd e LeU di attivare lo “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Dalle parti del Nazareno c’è chi ora dice che è meglio non parlarne in quanto finanziamenti alla sanità arriveranno con la Recovery and Resilience Facility (RRF). Sul merito, invece, non si sa quando la RRF verrà approvata (non prima della prossima estate) e quando giungeranno le erogazioni alla sanità. Sotto il profilo politico, l’attivazione dello “sportello sanitario” Mes dimostrerebbe se l’”europeismo” del M5S e dello stesso Conte è vero o di facciata.
Altra “cartina” è la nuova ed imminente revisione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) la cui bozza non è piaciuta alla Commissione europea, come ci è stato detto senza mezzi termini alla riunione dell’Eurogruppo che si è tenuto on line mentre in Parlamento si dibatteva del futuro del governo Conte. Si sapranno finalmente in base a quali “parametri di valutazione” e “criteri di scelta” si è arrivati all’elenco di progetti? Verranno specificati i contenuti ed i cronoprogrammi delle “riforme”? l’Italia verrà ancora accusata dai maggiori organi di stampa tedeschi di avere affastellato un PNRR “particolaristico-clientelare”?
Ci sono, poi, una marea di temi di politica economica in stallo per mancanza di accordo tra Pd e LeU, da un lato, e M5S, dall’altro. Ad esempio, la Rete Unica di banda ultralarga e il fidanzamento tra Open Fiber e Tim, nonché il matrimonio tra Fiat-Chrysler e Psa con i conseguenti dubbi sugli impianti in Italia. Per non parlare, delle geremiadi di Alitalia e dell’ex-Ilva (che faticano anche a pagare gli stipendi nonostante le frequenti iniezioni di capitale pubblico) e gli interrogativi sul futuro di Autostrade per l’Italia. Inoltre, il progetto di Mediaset per creare un polo europeo di audiovisivo, in cui non si sa quale è la posizione del governo mentre Vivendi gode del pieno supporto di quello francese. Infine, c’è il crescente ruolo del capitale pubblico in molti settori del manifatturiero, senza chiari programmi (almeno nelle dichiarazioni pubbliche) se si tratta di misure temporanee, dovute alla pandemia, o misure permanenti per riportare l’industria italiana al modello prevalente nel dopoguerra ove non a quello degli ultimi lustri del fascismo. Ciò suscita numerosi dubbi sulla compatibilità di questo modello con i paradigmi dell’Unione europea; si legga in proposito il recente lavoro di Salvatore Zecchini “La politica industriale nell’Italia dell’euro” (Donzelli Editore, 2020) per toccare con mano quanti passi in avanti si sono fatti e quanti indietro si rischiano di fare.
Viene, poi, il terziario che, come in tutti i Paesi avanzati, rappresenta circa i due terzi del Pil. È stato il settore più colpito dalla pandemia, specialmente in alcuni comparti. Ci sono interrogativi seri di politica settoriale che attendono risposte. In quali comparti la pandemia ha accelerato tendenze già in atto (ad esempio, nel cinema la contrazione dell’offerta nelle sale e l’espansione dell’home entertainment) e come tali tendenze devono essere considerate nella formulazione e attuazione delle politiche? Come modernizzare alcune filiere?
C’è sintonia nella compagine di governo su questi temi? Lo si vedrà nelle prossime settimane o si “tirerà a campare” sino al “semestre bianco” in omaggio a quella “politica del sedere” in base a cui il primo obiettivo dell’azione politica è quello di avere uno scranno su cui sedersi?