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La guerra di Troia di Giraudoux e la crisi di governo. Il corsivo di Pennisi

Ci sono tre strade per evitare ulteriori danni agli italiani: un governo di unità nazionale, un governo di scopo, elezioni. Un’opera degli anni Trenta può aiutare a capire

Le trattative, in corso questo fine settimana, per formare un Conte 2 extended o per formare, dopo una crisi pilotata un Conte 3 ricordano ad un anziano chroniqueur una bella commedia pacifista di Jean Giraudoux degli anni Trenta del secolo scorso quando il brillante scrittore francese mandava messaggi forti pur sorridendo: La guerra di Troia non si farà (La guerre de Troie n’aura pas lieu), un lavoro scritto nel 1935 e messo in scena il 21 novembre dello stesso anno al Théâtre de l’Athénée di Parigi da Louis Jouvet.

Ricordo di averne vista una bella produzione, diretta da Diego Fabbri, nel piccolo e delizioso Teatro della Cometa a Roma nei lontani anni in cui ero studente universitario. Lo ho anche visto, negli Ottanta del secolo scorso, in versione originale al Théâtre de l’Odéon a Parigi. Non ho memoria di nuovi allestimenti in Italia dopo quello a cui assistetti oltre cinquant’anni fa.

In breve, greci e troiani sono ai ferri corti. I primi, giunti in Asia Minore, assediano i secondi, ma essenzialmente nessuno vuole la guerra, anche perché giunta a Troia, Elena si è rivelata una terribile rompiscatole. Nessuno, proprio nessuno, vuole tenerla: Paride la restituirebbe volentieri a Menelao, il quale nicchia. Sia greci sia troiani sono alla caccia di “responsabili” per evitare un conflitto non voluto che pare rischi di scoppiare unicamente per motivi di cui non si ricordano più le origini. Ettore diventa il grande mediatore. Tra “responsabili” di una parte e “responsabili” dell’altra riesce a trovare un accordo che pare accontentare tutti. Mentre si festeggia, scocca per puro errore un dardo da un arciere un po’ ubriaco. Ed il sipario scene sulla commedia di Giraudoux per aprirsi, presumibilmente, sui poemi omerici e le tragedie greche.

Le analogie sono molteplici. Oramai, nella coalizione di governo, la frittata è stata fatta. Difficile dire se le uova sono state rotte dal leader di Italia Viva o da un presidente del Consiglio più incline alla mediazione che all’azione e che pare avere dimenticato ciò che era stato promesso ai partiti di sinistra che sostituivano quello di destra in cambio del sofferto voto alla legge costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari (collegialità nelle definizione e gestione della Recovery and Resilience Facility, valutazione e, se del caso, revisione del reddito di cittadinanza, rafforzamento del sistema sanitario facendo ricorso anche all’apposito sportello del Meccanismo europeo di stabilità, e via discorrendo).
La maionese è impazzita.

E diventa ancora più pazza perché i responsabili chiedono naturalmente riconoscimenti della loro «responsabilità». Si sta studiando un arabesco acrobatico ed arzigogolato: una “crisi di governo pilotata” per avere a disposizione nuovi scranni per accontentare i nuovi arrivati. Quando si innesca un pilota automatico spesso si rischia di andare a sbattere.
I greci ed i troiani di Giraudoux non erano semi-analfabeti privi di contatto con il loro elettorato, quali definiti da Ernesto Galli della Loggia su Il Corriere della Sera (e come possono confermare coloro che hanno ascoltato le lunghe dirette radiofoniche). Tuttavia, non hanno impedito la guerra di Troia.

Ed hanno insegnato quali sono le implicazioni di una legge elettorale proporzionale in un sistema politico in cui i partiti tradizionali non hanno più funzione: una permanente “instabilità trasformistica” in cui il bene del Paese è l’ultima delle preoccupazioni. A questo punto, meglio evitare altre stranezze. Ci sono, a mio avviso, tre strade per evitare ulteriori danni agli italiani: un governo di unità nazionale, un governo di scopo, elezioni.


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