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Impeachment-bis. Anche così Trump è entrato nella storia

La Camera degli Stati Uniti ha ieri approvato la messa in stato d’accusa di Donald Trump, che è così divenuto il primo e unico presidente sottoposto per due volte a una procedura d’impeachment. Il punto di Gramaglia

Con il sì di tutti i deputati democratici e di dieci dei 211 repubblicani, la Camera degli Stati Uniti ha ieri approvato la messa in stato d’accusa di Donald Trump, che è così divenuto il primo e unico presidente sottoposto per due volte a una procedura d’impeachment. La discussione sul capo d’imputazione e sull’avvio della procedura è durata poche ore: mai un impeachment fu così veloce.

In un video di pochi minuti, pubblicato poco dopo, Trump, senza fare cenno al voto della Camera, condanna le violenze dell’attacco al Congresso del 6 gennaio, prende le distanze dai rivoltosi e lancia un appello agli americani a “superare gli impeti del momento”.

In una nota, il presidente eletto Joe Biden auspica che la leadership del Senato trovi modo di gestire “le responsabilità costituzionali sull’impeachment lavorando al contempo anche sulle altre urgenze di questa Nazione”. Nei giorni scorsi, Biden aveva sondato i leader del Senato chiedendo di ripartire il lavoro dell’aula tra il processo di impeachment e le priorità della sua agenda, specialmente la lotta alla pandemia e la conferma delle nomine di governo.

Il voto della Camera –  La Camera si è espressa con 222 sì e 197 no, su 435 deputati. A fine 2019, nel voto sull’impeachment per il Kievgate, i repubblicani erano stati compatti contro. Fra i dieci sì repubblicani registrati questa volta, c’è quello di Liz Cheney, deputata del Wyoming, figlia dell’ex vice di George W. Bush, Dick Cheney, numero tre della gerarchia repubblicana alla Camera.

Invece, il leader della minoranza repubblicana Kevin McCarthy ha sì riconosciuto la responsabilità del presidente negli incidenti del 6 gennaio, ma s’è opposto a una “inutile” destituzione a fine mandato. Come lui, molti altri deputati.

L’accusa a Trump è di incitamento all’insurrezione, per aver istigato in un comizio i suoi sostenitori ad assaltare il Congresso e impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden, che il magnate aveva contestato per settimane evocando brogli elettorali mai provati e cercando anche d’indurre amministratori statali a sovvertire l’esito del voto.

L’attacco violento al Campidoglio ha fatto cinque morti, diversi feriti, gravi danni e un vulnus senza precedenti alla democrazia statunitense. “Trump è un pericolo evidente ed immediato … deve essere destituito”, ha detto in aula la speaker della Camera Nancy Pelosi, definendo i rivoltosi non “patrioti”, come li ha chiamati il presidente, ma “terroristi”. E, dopo il voto, ha aggiunto. “Nessuno è al di sopra della legge”.

La Pelosi, è stato notato, aveva la stessa ‘mise’ – abito nero e collana – del 18 dicembre 2019, quando venne lanciato il primo impoeachment.

Il voto è avvenuto “sulla scena del delitto”, ha sottolineato un deputato. La mozione d’impeachment segue quella, approvata dalla Camera martedì, sul ricorso al XXV emendamento, che Mike Pence, vice di Trump, s’è però rifiutato di invocare, ritenendo che non sia “nel miglior interesse del Paese” e invitando a evitare “azioni che dividerebbero e infiammerebbero ulteriormente” le attuali passioni.

Il crescente consenso per l’impeachment tra i repubblicani è il segno di uno scontro dentro il partito, in cui avrà un ruolo chiave il potente leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, che ha detto in privato di vedere bene l’impeachment, fondato e utile per aiutare il partito a voltare pagina. Se confermasse in pubblico tale posizione, McConnell potrebbe consentire di arrivare alla maggioranza dei due terzi necessaria per la condanna di trump in Senato. Ma per ora McConnell non ha ancora deciso come votare ed esclude di convocare il Senato prima della fine del mandato presidenziale.

Il leader dei senatori democratici Chuck Schumer ha invece ribadito che, se Trump sarà condannato dal Senato, ci sarà pure un voto, a maggioranza semplice, per interdirlo dai pubblici uffici.

La reazione di Trump – Trump è ieri tornato a lanciare un appello alla calma e ad evitare “violenze e vandalismi”, sia in una laconica dichiarazione della Casa Bianca che nel suo video. Parole tardive, forse dettate da tattiche legali per evitare la condanna in Senato. “Condanno in modo inequivocabile – afferma con tono solenne nel suo video il presidente uscente – la violenza a cui abbiamo assistito la settimana scorsa. La violenza e il vandalismo non hanno assolutamente spazio nel nostro Paese e nel nostro movimento”.

Il magnate precipita nei sondaggi, subisce un’emorragia nel suo ‘inner circle’ – l’ha abbandonato anche la fedelissima consigliera Hope Hicks -, viene messo al bando da Youtube e da Snapchat dopo Facebook e Twitter; e la città di New York rescinde i contratti con la Trump Organization, compresi quelli per l’iconica giostra e le due piste di pattinaggio di Central Park. Lo consola forse un po’ la decisione di Ivanka di non andare al giuramento di Biden perché “non è consuetudine che i figli del presidente uscente partecipino alla cerimonia”.

Nel video, Trump dice che le persone coinvolte nell’attacco al Congresso saranno portate davanti alla giustizia… Che tu sia di destra o di sinistra, che tu sia democratico o repubblicano, non ci può mai essere giustificazione alla violenza, nessuna scusa, nessuna eccezione”.

“Nessun mio vero sostenitore – prosegue – potrebbe mai giustificare la violenza politica. Nessun mio vero sostenitore potrebbe disprezzare le autorità o la nostra grande bandiera americana. Nessun mio vero sostenitore potrebbe mai minacciare o attaccare i suoi compatrioti americani. Se fate qualcuna di queste cose, non sostenete la nostra causa, la state attaccando. E state attaccando il nostro Paese, non possiamo tollerarlo”.

Quindi affronta le potenziali minacce di proteste armate a Washington per il giuramento di Biden, riconoscendo che “tutti hanno diritto di far sentire la propria voce in base al primo emendamento della Costituzione”, ma ammonendo contro “la violenza, la violazione della legge e i vandalismi”.

Infine un attacco a Big Tech, che ha bloccato i suoi account social e piattaforme di destra come Parler: “Un assalto senza precedenti alla libertà di parola. Gli sforzi di censurare, cancellare e mettere nella lista nera i nostri cittadini sono sbagliati e pericolosi”.

Secondo la Cnn, Jared Kushner, il marito di Ivanka Trump, è intervenuto con altri consiglieri per impedire che il suocero cominciasse a usare piattaforme ritrovo degli estremisti, come Gab, per comunicare con i suoi sostenitori. Altri collaboratori di Trump, come il capo del personale Johnny McEntee, stavano invece lavorando in quella direzione.

La sicurezza – C’è un’atmosfera da stato di guerra nella capitale, dopo l’allarme dell’Fbi su possibili attacchi armati tra il 16 e il 20 gennaio in tutti gli Stati Usa: centinaia di riservisti hanno già passato la notte all’interno del Congresso, dormendo e bivaccando nelle sale e nei corridoi mentre arrivavano i deputati per il dibattito sull’impeachment.

La Guardia Nazionale, che il 20 gennaio schiererà 20 mila uomini, presidia ora a mano armata tutto il perimetro esterno del Congresso, difeso come tutti i principali edifici governativi da una griglia.

Airbnb ha cancellato tutte le prenotazioni fatte nell’area di Washington nei giorni dell’insediamento di Biden, dopo avere scoperto che alcuni degli insorti della scorsa settimana avevano utilizzato la sua piattaforma per trovare alloggio.

Nelle indagini, spuntano possibili complicità di deputati repubblicani nell’assalto al Congresso. Ben prima dell’attacco, l’attivista di estrema destra Ali Aleksander, un organizzatore del movimento ‘Stop the Steal’, disse ai suoi seguaci che stava preparando qualcosa di grande per il 6 gennaio, lavorando con tre deputati repubblicani: Andy Biggs (Arizona), Mo Brooks (Alabama) e Paul A. Gosar (Arizona), ardenti sostenitori del presidente. Tutti e tre i deputati respingono ogni addebito.

Fra i rinviati a giudizio per le violenze del 6 gennaio, c’è un pluri-campione olimpico di nuoto: Klete Keller (due ori, un argento e due bronzi tra Sydney 2000 e Pechino 2008) è stato individuato perché indossava la divisa della nazionale di nuoto Usa. L’atleta, 38 anni, ha avuto molti problemi ad adattarsi alla vita dopo la carriera sportiva.

www.giampierogramaglia.eu

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