La pandemia Covid-19, invece di indebolirla, ha spinto l’India nel club delle economie più importanti, grazie anche alla nuova arma pacifica del 2021: i vaccini. L’analisi del professor Arduino Paniccia, presidente ASCE Scuola di guerra economica e competizione internazionale di Venezia, e di Vas Shenoy, ricercatore sulle relazioni Europa-India
L’India può essere ormai considerata la farmacia del pianeta. L’indiana Serum Institute of India di Pune, la più grande azienda produttrice di vaccini a livello globale, ha siglato accordi importanti con AstraZeneca e Università di Oxford per la produzione di decine di milioni di dosi di vaccino anti Covid-19.
L’obiettivo attuale del governo di Narendra Modi è vaccinare più di 300 milioni di indiani entro il 2021 e la fase di attivazione del programma, molto complesso, è già partita speditamente.
Con Covaxim, un vaccino made in India sviluppato da scienziati locali e con la produzione, in aumento, di Covishield, prodotto insieme ad AstraZeneca, Nuova Dehli si propone di aiutare i Paesi confinanti e gli altri Stati asiatici. Il tutto dopo aver proposto, insieme al Sudafrica, all’Organizzazione mondiale del commercio di sospendere l’applicazione dei brevetti sui trattamenti anti Covid-19, così da ridurne i costi di produzione. Infatti, dopo averli donati a Bangladesh, Bhutan, Myanmar, Maldive, Nepal, presto, sotto forma di aiuti internazionali, l’India si accinge a inviare i vaccini anche ad Afghanistan e Sri Lanka.
Il 23 gennaio il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha ringraziato formalmente Modi per la prima fornitura di vaccini al suo Paese. È chiaro che la capacità di ricercare, produrre, fabbricare tali farmaci sta letteralmente aumentando il peso strategico dell’India verso molti Paesi che la vedono ormai come un alleato e un amico nel momento drammatico della pandemia.
L’India ha iniziato quindi l’anno con molti nuovi propositi. È al suo ottavo mandato nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Lo sforzo della diplomazia indiana è, da sempre, creare i presupposti per un allargamento del Consiglio di Sicurezza e ottenere, quindi, un seggio permanente.
L’India è di fatto un continente, un mescolio millenario di culture e filosofie, un mondo di contrasti. Non è solo il Paese di Gandhi e dei sadhu, degli elefanti e delle tigri, ma è oggi una potenza nucleare che domina l’Oceano indiano e la pandemia Covid-19, invece di indebolirla, l’ha spinta nel club delle economie più importanti, grazie anche alla nuova arma pacifica del 2021: i vaccini.
Il primo Paese a riconoscere l’impressionante trasformazione indiana è stata il Regno Unito, con l’invito del primo ministro britannico Boris Johnson all’omologo indiano Modi a partecipare al G7 previsto in Cornovaglia nel giugno 2021. Johnson, che doveva effettuare una visita ufficiale a Nuova Delhi per l’anniversario della fondazione della Repubblica Indiana ha dovuto annullarla per i noti motivi pandemici. Ma è previsto che, comunque, il primo ministro britannico visiti l’India prima del G7, cercando così di recuperare un rapporto più stretto tra Regno Unito e India, superando la vicenda della colonizzazione durata per secoli e presentandosi nelle vesti di fornitore, ma anche di partner prioritario economico e finanziario. Nel settantacinquesimo anniversario dell’indipendenza, le parti sono praticamente invertite e oggi è il Regno Unito della Brexit a cogliere l’occasione di questi incontri per chiudere accordi nuovi e vantaggiosi con l’India.
Essi potrebbero essere un legame commerciale di alleanza anglofona Stati Uniti-Regno Unito-India, in diretto contrasto con l’accordo tra Unione europea e Cina, chiuso su impulso di Angela Merkel ed Emmanuel Macron pochi giorni prima del giuramento del presidente Joe Biden e della vicepresidente Kamala Harris, segnale evidente della ormai chiara riluttanza dell’asse franco-tedesco ad allineare le proprie strategie economiche con gli Stati Uniti.
In effetti, l’economia indiana è sempre più robusta e strutturata, focalizzata soprattutto sui consumi interni (60% del Pil). Metà dei lavoratori trovano impiego nel settore agricolo, che rappresenta il 16% del Pil, risultando il secondo produttore mondiale dopo la Cina. Quasi metà del Pil è poi costituito dal cruciale settore dei servizi, dei quali un’importante fetta (circa 180 miliardi di dollari) consiste nell’esportazione di tecnologie informatiche, nelle quali l’India primeggia.
La produzione industriale è al il 26% del Pil con i settori automobilistico, edile, tessile, siderurgico in testa. Ma sono in forte e rapido sviluppo anche l’energia rinnovabile, la tecnologia informatica, l’e-commerce, il fintech e il commercio al dettaglio. Il settore retail cresce di almeno 10% all’anno e occupa quasi il 20% dei lavoratori.
Per concludere, il posizionamento strategico nel subcontinente asiatico da parte dell’India è in una continua fase di aggiustamento e trasformazione.
Come si è visto, la pandemia non ha interrotto questa fase, anzi si è presentata come una nuova opportunità, insieme a quelle geopolitiche come l’asse indo-pacifico, che vede l’India alleata a Stati Uniti e Australia nel Quad.
Le vicende di Hong Kong e il regime sempre più duro verso qualsiasi dissenso in Cina, con l’implementazione di misure sempre più anti-democratiche anche a causa del Covid-19, farà sempre più risaltare le scelte, così lontane dalla storica tradizionale neutralità dell’India, che le hanno permesso di diventare importante interlocutore e nuova potenza a livello mondiale.