Il primo insegnamento ricavabile dall’evento pandemia è l’indispensabile ricupero, nella politica del convivere, del valore “individuo” e il taglio di tutti quei miti e strumenti che lo comprimono. Il commento di Paganini e Morelli
La saggezza della tradizione impone di indossare a Capodanno almeno un indumento nuovo di fabbrica. Ora nell’Anno Nuovo ci siamo, però manca una nuova veste politica. La cosa preoccupa. Perché è lampante che nel 2021 il quadro è completamente mutato e che sarà sterile affrontarne i nodi con le vecchie idee e i vecchi sistemi fin qui seguiti dall’intero schieramento dei partiti. Anche nell’ultimo periodo, la tragedia della pandemia ha dato occasione per mettere in rilievo due modalità operative di nuovo tipo che vanno adottate subito pure in ambito istituzionale.
La prima. In tutti i passaggi, la capacità terapeutica si è affidata ai comportamenti individuali dei cittadini. Quando il distanziamento tra i singoli cittadini e l’indossare ciascuno le mascherine sono state la sola profilassi disponibile; quando, per trovare terapie più direttamente efficaci, si è ricorso al metodo della scienza, che è un metodo fondato sulla capacità individuale dei ricercatori, i quali innovano (come hanno fatto ora); quando, per fronteggiare il Covid-19, si è lanciata una grande campagna di vaccinazione centrata sulla salute di ogni singolo individuo.
Il meccanismo di tale capacità è il contrario dei concetti ritenuti salvifici ed esaltati di continuo nel dibattito politico culturale sui media: comunità, unità (e solidarietà intesa nella stessa accezione delle altre prime due). Il motore del conoscere e del progredire umano sta nell’esercizio della libertà dei diversi cittadini tramite il loro spirito critico e nel seguire sempre i fatti concreti. Perciò la convivenza si fonda sulle regole decise dai cittadini per gestire i conflitti tra le differenti iniziative di ognuno di loro. Nel complesso, è dunque opportuno (e ormai urgente) adottare la metodologia individuale e del conflitto democratico anche nella cultura istituzionale. Smettendola di crogiolarsi in concetti come comunità ed unità, estranei alla realtà del mondo evolventesi. E non dimenticare che il concetto di solidarietà è valido solo in quanto sottolinea come l’individuo non possa stare isolato in sé, siccome, nel relazionarsi con gli altri individui, si esprime al meglio conoscendo di più e diffondendo conoscenza. Insomma, il primo insegnamento ricavabile dall’evento pandemia è l’indispensabile ricupero, nella politica del convivere, del valore “individuo” e il taglio di tutti quei miti e strumenti che lo comprimono, iniziando dai social che favoriscono il non usare lo spirito critico e il diffondere dati falsi ancor più nocivi in epoca Covid-19.
La seconda modalità consiste nella materia del confronto politico. Dal momento che non concerne principalmente la gestione del potere istituzionale (che è un mero strumento attuativo delle scelte e degli indirizzi voluti dai cittadini), tale materia non può né ridursi ad un blaterare tra addetti ai lavori né eludere i contenuti delle idee da proporre di volta in volta per sciogliere i nodi del convivere nei territori teatro delle scelte. Ne consegue che il metro di valutazione del confronto politico sta sul terreno del corrispondere alle sfide nella realtà. Invece nelle ultime settimane, senza alcuna obiezione critica da parte dei mezzi di comunicazione, il dibattito è stata una fioritura di tematiche avulse dalla realtà.
Tre esempi. L’accusa al presidente del Consiglio, martellante per oltre tre settimane, di accentrare indebitamente la direzione dei Servizi Segreti, accusa accompagnata dalla richiesta di rinunciarvi. Ma il disposto della legge 124/2007 è inequivoco. All’art.1, comma 1, prescrive: “Al presidente del Consiglio dei ministri sono attribuiti, in via esclusiva: a) l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle istituzioni democratiche…”.
Nelle medesime settimane è stata parimenti martellante l’accusa al Presidente del Consiglio di voler prevaricare il ruolo del Parlamento e delle strutture dei funzionari di stato con la previsione di affidare il controllo della gestione dei 209 miliardi provenienti dall’UE ad un gruppo di sei manager assistiti da molte decine di funzionari, tutte persone scelte dal Consiglio dei Ministri. Anche questo secondo argomento è privo di reale consistenza. Infatti nel progetto all’esame del Consiglio dei Ministri non è scritto che i funzionari sostituiranno il governo; è previsto che tutte le decisioni saranno assunte in Parlamento; non sta scritto che il nuovo gruppo di funzionari sostituirà le alte burocrazie, ed è invece stabilito che il nuovo gruppo ha il compito di garantire l’effettivo realizzarsi delle decisioni governative (per non ripetere la clamorosa incapacità precedente nell’utilizzo dei fondi UE, nonostante fossero di un ammontare completamente inferiore).
Infine, negli ultimi giorni, è emerso anche un terzo argomento di polemica politica privo di riscontro di fatto. Diversi giornali di punta si sono dedicati a discettare su quanto avverrà dopo il ritiro dei ministri da parte di un partito piccolo della maggioranza, C’è chi scrive “dimissioni dovute” non tenendo conto del significato di quanto detto dal Presidente del Consiglio mercoledì 30 dicembre. Cioè che in quel caso, lui sottoporrà la questione al voto in Parlamento. Vale a dire non potrà esserci una crisi extraparlamentare, quel tipo di crisi che tanto appassiona il mondo mediatico (soprattutto perché è un’apoteosi delle manovre di corridoio nascoste ai cittadini).
Il voto del Parlamento sarà dirimente e vedremo quale strada sceglierà. In ogni caso, oggi le prime cose da farsi da un governo restano quelle indicate dalle due modalità operative emerse dall’epoca della pandemia. Valorizzare l’individuo e compiere alla svelta scelte di contenuto, è indispensabile per liberarci dai nodi finora affastellatisi nelle relazioni del convivere.
Sullo stesso punto e nella medesima direzione, sono state pronunziate parole oggettivamente importanti nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica. “Cambiamo ciò che va cambiato, rimettendoci coraggiosamente in gioco. Questo è tempo di costruttori… Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte. Non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi ma di realizzare la convergenza di fondo. Memoria e consapevolezza della nostra identità nazionale ci aiutano per costruire il futuro”.
Nel 2021, dopo la pandemia, l’Italia non può più permettersi il dissennato balletto di ministri e di partiti di governo che attaccano composizione e programmi della squadra di cui sono parte, con più accanimento della stessa opposizione. Non può più permettersi l’incapacità operativa di questi giorni mostrata dalla pachidermica lentezza nel fare vaccini rispetto agli altri. Non può più permettersi di eludere i contenuti della realtà. Le gravi ristrettezze economiche che avremo anche nel caso il vaccino abbia l’efficacia attesa, non danno più margini a nessuno, cittadini e partiti, per comportamenti irresponsabili perché fuori del mondo.