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Laschet dovrà portare a casa due elezioni: quella tedesca e quella francese nel 2022. Scrive Mesini

Di Lorenzo Mesini

Laschet rappresenta il candidato migliore per proseguire la svolta intrapresa da Merkel dopo Brexit e l’elezione di Trump, stringendo maggiormente i rapporti con Spagna e Italia. Ma Parigi e Berlino non saranno in grado di rilanciare la propria leadership europea prima del voto per l’Eliseo. L’analisi di Lorenzo Mesini (Pandora)

L’elezione di Armin Laschet a presidente della Cdu, il primo partito tedesco e l’ultimo grande partito popolare europeo, rappresenta un significativo passo in avanti nell’attuale fase di transizione politica, la più importante affrontata dalla Germania e l’Unione europea negli ultimi due decenni. Dopo essere stato rimandato per ben due volte nel 2020 a causa della crisi epidemica, il congresso della Cdu ha designato Laschet come proprio leader, vincendo il ballottaggio contro Friedrich Merz (521 voti contro 466). Presidente del Nord Reno Westphalia, cattolico, Laschet rappresentava il candidato più pragmatico e adatto a evitare rotture ideologiche e cambi di direzione rispetto al passato.

La successione politica di Angela Merkel resta tuttavia una questione aperta. Come è noto, il leader della Cdu è tradizionalmente anche il candidato alla cancelleria. Nessuno dei tre candidati al congresso (Laschet incluso) gode di un ampio supporto tra gli elettori della Cdu-Csu nel caso di una loro candidatura alle elezioni federali che si terranno a settembre. Il candidato più popolare sarebbe invece Markus Söder, leader della Csu e attuale presidente della Baviera. Il 40% dei tedeschi vede in lui il candidato più forte alla cancelleria.

Occorre ricordare che la Csu è riuscita a candidare il proprio leader solo in due occasioni, senza mai conseguire il successo elettorale (con Franz-Joseph Strauss nel 1980 e con Edmund Stoiber nel 2002). Söder sarebbe il terzo politico bavarese a tentare l’impresa ed eventualmente il primo a diventare cancelliere tedesco. Tuttavia, è ragionevole credere che il neoeletto leader della Cdu non rinuncerà facilmente alla possibilità di guidare il governo più influente d’Europa. La decisione finale sarà, come vuole la tradizione, il frutto della consultazione congiunta tra Cdu e Csu. Su di essa non influiranno solo i rapporti di forza reciproci le alleanze e la strategia politica che l’unione intenderà seguire in vista delle prossime elezioni federali.

Visto il netto ridimensionamento della Spd e l’ascesa dei Verdi, saranno molto probabilmente questi ultimi ad affiancare Cdu-Csu nella prossima coalizione di governo. Dopo aver ottenuto l’8,9% alle elezioni federali del 2017, si sono affermati come il secondo partito tedesco dopo la Cdu, con un consenso tra il 17 e il 21%. La Cdu governa in coalizione con i Verdi già sei länder e in cinque città di rilievo.

La coalizione dei popolari di Sebastian Kurz con i Verdi, che regge l’attuale governo austriaco, rappresenta per molti il modello a cui potrebbe ispirarsi la prossima coalizione tedesca. In molti hanno osservato che Söder sarebbe il leader più adatto a guidare una coalizione nero-verde, dal momento che al momento risulta la figura più adatta a coniugare le istanza conservatrici e con l’attenzione per le tematiche ambientali. Nella sua lunga storia di successo la Cdu si è sempre distinta per un approccio pragmatico e per la sua moderazione ideologica. L’alleanza con i Verdi rischia tuttavia di alimentare le tensioni presenti all’interno della Cdu, tra l’ala più progressista guidata fino ad ora da Angela Merkel e quella più marcatamente conservatrice che fa capo a Merz.

È opportuno inoltre ricordare che il rapporto tra Cdu e Csu non è riducibile a una semplice questione corporativa ma rappresenta il compromesso politico e culturale che regge al contempo gli equilibri interni tedeschi ed europei. Le due capitali dello spirito tedesco, Monaco e Berlino, esprimono storicamente due concezioni differenti di Germania ed Europa: da un lato la Mitteleuropa austro-bavarese, cattolica, romantica e controrivoluzionaria; dall’altro la Germania di matrice prussiana, protestante e illuminista, patria di Immanuel Kant e Georg Wilhelm Friedrich Hegel, che si è incaricata di portare a termine l’unità nazionale all’interno di un più ampio contesto europeo, entro cui è nata anche la socialdemocrazia. Sull’equilibrio tra l’area culturale renano-anseatica e quella bavarese è poi sorta la Bundesrepublik dopo la Seconda guerra mondiale.

Il 2021 sarà dunque un anno cruciale non solo per la Germania. Dopo aver assicurato stabilità e continuità politica lungo 16 anni di governo e 10 anni di incontestata leadership all’interno del partito, Angela Merkel si appresta a lasciare la scena politica come il terzo cancelliere che ha governato più a lungo la Germania dopo Otto von Bismarck e Helmut Kohl. L’Europa intera dovrà fare i conti con la sua eredità politica e con il vuoto che inevitabilmente si aprirà nei prossimi anni. Molto probabilmente nessun leader europeo sarà in grado prenderne il posto nella fase di transizione che si aprirà nel breve-medio periodo. Il prossimo cancelliere sarà inevitabilmente assorbito dai problemi sul fronte interno, complice la crisi epidemica e il raggiungimento di un nuovo equilibrio politico.

Il presidente francese Emmanuel Macron proverà a intestarsi nuovamente la leadership europea, con scarse probabilità di successo. Oltre a essere una figura più divisiva di Merkel, Macron vede scadere il suo mandato nel 2022 e in Francia lo attendono numerosi problemi. Senza la sponda di Berlino Macron non sarebbe stato in grado di promuovere con successo l’accordo sul Recovery Fund. La visione strategica di Macron necessita della cooperazione tedesca, come dimostra la firma del Trattato di Aquisgrana nel 2019. Nel bene e nel male Merkel ha sempre dato la priorità alla coesione dell’Unione, preferendola all’ipotesi di una maggiore integrazione in senso federale tra i soli membri dell’eurozona.

Lo scenario che Macron teme — e non è in grado di scongiurare — è quello di una Germania introversa che freni il processo europeo di integrazione definito solo provvisoriamente con la risposta alla pandemia. Molto probabilmente, prima delle prossime elezioni presidenziali francesi, Parigi e Berlino non saranno in grado di rilanciare in maniera congiunta la propria leadership europea. Laschet rappresenta in ogni caso il candidato migliore per proseguire la svolta intrapresa da Merkel dopo Brexit e l’elezione di Donald Trump, stringendo maggiormente i rapporti con Spagna e Italia. Con la sua elezione si rafforzano i presupposti rilanciare la cooperazione italo-tedesca in sede europea e bilaterale.

(Foto da Twitter – @CDU)

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