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L’economia circolare è l’anello debole del Recovery Plan

Di Nunzio Ingiusto

Le aziende del settore del riciclo di carta, plastica e metalli lamentano la scarsa attenzione che il Pnrr ha finora riservato al settore. Inutile parlare di sostenibilità e green economy se non si dà un sostegno forte all’economia circolare, scrive Nunzio Ingiusto, giornalista esperto di temi ambientali ed energetici

Per chi ha scritto il Recovery plan va bene così. Per chi deve metterlo in pratica bisogna necessariamente aggiornare la parte dedicata all’economia circolare. Questione di soldi, innanzitutto, ma anche di un nuovo sistema industriale per l’Italia del futuro.

Partiamo dalle cifre. Nell’ultima versione del PNRR ci sono 7 miliardi destinati ad agricoltura sostenibile ed economia circolare, senza però specificare come saranno allocate queste risorse. Le imprese del riciclo temono di non ricevere una cifra sufficiente, che per loro sarebbe 2,625 miliardi di euro. Le associazioni di categoria Unirima, Assorimap e Assofermet hanno chiesto al governo se davvero intenda puntare sulla green economy, e di essere coinvolte in ambito di revisione generale del documento prima dell’invio a Bruxelles.

È vero che il  testo del Conte2 (tema forte  della crisi di governo ) prevede 4,5 miliardi per adeguare gli impianti di trattamento dei rifiuti. Ma viene contestata l’ assenza di risorse da destinare alle imprese che riciclano carta, plastica e metalli. La circolarità dei materiali con le virtuose ripercussioni sugli acquisti, sull’energia, sulla lotta agli sprechi e alle discariche,  è centrale per far avanzare l’Italia verso obiettivi di Agenda 2030. Le industrie si muovono per interessi. Tuttavia, senza adeguati supporti statali non si capisce bene come si potranno toccare quei livelli. Nonostante la compagine politica predichi sostenibilità ed innovazione.

Quanto alla vision  di un disegno industriale complessivo, le  300 imprese attive in Italia lamentano anche i tempi per creare le strutture. “Il nostro Paese si caratterizza per tempi troppo lunghi in ogni aspetto, a partire dalla realizzazione degli impianti. In media  da noi ci vogliono due anni, all’ estero sei mesi” ha ricordato  Walter Regis, Presidente dell’Associazione Nazionale Riciclatori e Rigeneratori di Materie Plastiche. Lo ha fatto in un  recente confronto con i rappresentanti dei partiti.

Ed era chiaro il riferimento a quel passaggio del Recovery Plan che per “la realizzazione degli investimenti prevede un orizzonte 2026, partendo da progetti disponibili proposti da città metropolitane, presenti nella pianificazione regionale”. Solo un azzardo?

In fondo la contrarietà al PNRR in circolazione tocca i cardini di una buona economia circolare. La chiusura del ciclo dei rifiuti in Italia, inseguita da decenni, con la produzione di materie prime secondarie richiede una politica di sostegno alle imprese e a chi ci lavora. In questi anni si sono organizzate da sole mediante accordi bilaterali con enti ed istituzioni locali. Evidente che per andare oltre, bisogna riorganizzare produzione, consumo e recupero.

Rimuovere ostacoli, alleggerire le procedure, origine molto spesso di illeciti di ogni tipo. Come si  possono sviluppare le filiere del recupero? “O con gli incentivi o con divieti ed obblighi” ha detto  Stefano Vignaroli, Presidente della Commissione bicamerale sui rifiuti. Quanto agli obblighi, le aziende hanno presentato al Ministero dello Sviluppo Economico un progetto di investimento sull’economia circolare. Hanno ricordato come la Corte dei Conti europea avesse segnalato il ritardo italiano sugli obiettivi 2030 mentre le aziende del riciclo sono appena al 60% della loro capacità installata. Perché? Per la mancanza di un piano organico nazionale , si diceva. Quando? Il 16 novembre 2020.

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