Deciso il meccanismo di selezione per la leadership ad interim, in Libia è il momento delle alleanze. L’Italia ha un ruolo per implementare il delicato equilibrio che ha portato il Paese verso il processo di stabilizzazione
Sicuramente l’Italia sta tornando al centro della scena libica, e questo è testimoniato dall’arrivo della leadership libica – presidente/premier e il suo vice – a Roma, dagli incontri tra questi e la delegata delle Nazioni Unite per la Libia sempre nella capitale italiana, e successivamente dalla tappa fatta dai dirigenti dell’Aise in Cirenaica.
Il nostro paese rientra in primo piano nel dossier libico, portandosi dietro vantaggi geopolitici conseguenti. Tutto mentre il meccanismo di selezione per i vertici governativi sembra sia sulla via dell’implementazione, pur con le proprie complessità. Un fattore positivo per il processo di stabilizzazione in corso – sebbene, si ripete, il meccanismo non è privo di problematiche soprattutto nella scelta di nomi e compagini per le liste.
Il meccanismo proposto prevede la divisione dei 75 membri del forum in tre circoscrizioni basate sulle tre regioni storiche della Libia (Tripolitania a ovest, Cirenaica a est e Fezzan a sud), con ogni gruppo che elegge il rappresentante della propria regione per il Consiglio di Presidenza. Per ottenere un seggio nel Consiglio, almeno il 70 per cento del sottogruppo regionale deve appoggiare il candidato. Separatamente, i 75 membri del forum eleggeranno il primo ministro, che dovrà ottenere almeno il 70 per cento dei loro voti in una sessione plenaria.
Se questa procedura fallisce per qualsiasi motivo entra in gioco un sistema basato su liste di riserva. Qui i membri del forum voteranno su liste che specificano i candidati per il primo ministro e tre posizioni del Consiglio di Presidenza. Ciascuna lista sarà sottoposta a votazione in plenaria se almeno diciassette membri del forum (otto da ovest, sei da est e tre da sud) la approveranno. Tali criteri consentono di sottoporre alla votazione finale un massimo di quattro liste. Se una lista ottiene il 60% dei voti totali al primo turno, su questa base verrà formato un nuovo esecutivo. Se nessuna lista raggiunge quella soglia, le due che hanno vinto il maggior numero di voti entreranno in ballottaggio, con la lista che si assicura il 50% più un voto vincente.
È chiaro che questo sistema impone delle alleanze tra figure delle diverse circoscrizioni elettorali, creando quindi un problema a monte della votazione sulla creazione delle liste, ad esempio per i Fratelli mussulmani non sarà semplice trovare un alleato “forte” della Est da mettere nella loro lista, visto le diffidenze e l’ostracismo che quella regione prova per questo movimento politico-culturale. Quindi si possono sicuramente registrare dei passi in avanti del dialogo politico, ma il rischio di rallentamento o fallimento rimane ancora alto.
Il ruolo dell’Italia sarà dunque anche quello di facilitare le dinamiche intra-libiche in un momento delicato del processo. In Libia, tra i membri del Dialogo sta infatti iniziando il gioco delle alleanze per costruire le liste, che dovranno essere presentate entro il 28 di questo mese, mentre per il primo febbraio è già convocata una riunione a Ginevra per il voto.
Un altro dei problemi che permane è che oggi, 23 gennaio, dovrebbe essere la data entro cui, secondo l’accordo di cessate il fuoco, si sarebbero dovute ritirare tutte le forze militari riconducibili agli attori esterni che hanno sponsorizzato la guerra sui due lati. Molto difficile, se non impossibile, dire che accadrà, e questa – insieme alla costruzione delle liste e alla scelta dei nomi – è un fattore che potrebbe produrre rallentamento nel processo negoziale.
Anche in questo caso l’Italia può avere una posizione di mezzo che favorisce dinamiche di alleggerimento. Per ora, prendiamo come elemento positivo il fatto che le armi siano ferme e che l’accordo di tregua abbia prodotto anche sviluppi sul piano economico, mentre ci si aspetta che arrivino anche quelli sul lato politico. Poi, se le votazioni dovessero fallire, allora resta in piedi il piano B, quello secondo cui il presidente del Consiglio presidenziale, Fayez el Serraj, potrebbe nominare lui direttamente un primo ministro (ruolo che detiene per il momento) scegliendo una figura o del blocco orientale, oppure della Tripolitania, ma in grado di dialogare bene con tutte le anime del paese. Una strada che Serraj per il momento sembra addirittura poter preferire.