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Il tesoretto di Maduro in Svizzera, la Ferrari a Caracas

Mentre la procura di Zurigo indaga su conti bancari sospetti per circa 10 miliardi di dollari che sarebbero a nome di funzionari del regime venezuelano, la casa automobilistica di lusso annuncia l’apertura (paradossale) di un concessionario nel Paese più povero dell’America latina, dove lo stipendio minimo è di 2 dollari al mese…

La Rivoluzione (socialista?) di Nicolás Maduro in Venezuela è rossa… ma rossa Ferrari. Ed è che l’impresa automobilistica è pronta ad aprire un concessionario autorizzato a Caracas. Sul sito della Ferrari c’è già il rivenditore, nel viale Jalisco di Las Mercedes, quello che decenni fa era stato uno dei quartieri più ricchi, simbolo della movida della capitale venezuelana.

Nella mappa del sito web di Ferrari si può vedere il punto rosso a Caracas. Si legge l’orario del concessionario Maranello Motorsport, che sarà autorizzato per la vendita delle auto, e offrirà un’officina specializzata per la manutenzione e riparazione delle auto con il Cavallino Rampante. Il concessionario venderà auto nuove e usate.

L’annuncio ha accesso la rabbia dei venezuelani. Da sabato scorso i social network sono inondati di critiche per il paradosso dell’apertura del concessionario di auto di lusso in un Paese che soffre una gravissima crisi economica e umanitaria e vive con l’inflazione più alta del mondo.

Secondo l’ultimo sondaggio dell’agenzia Encovi, che risale a metà del 2020, il Venezuela è il Paese più povero dell’America latina. Il 96% delle famiglie ha difficoltà a percepire uno stipendio stabile, il 74% soffre di insicurezza alimentare e il 30% dei bambini di meno di cinque anni presenta segni di denutrizione cronica.

Sull’apertura del concessionario si è espresso Juan Guaidó, presidente ad interim e presidente del Parlamento, riconosciuto a livello internazionale, specialmente dagli Stati Uniti e dall’Unione europea: “Danno la colpa alle sanzioni e importano auto di lusso con grande cinismo”.

La deputata Delsa Solórzano ha sottolineato che “mentre gli insegnanti protestavano perché guadagnano uno stipendio da fame di due dollari al mese, si inaugurava un concessionario Ferrari a Caracas. Questa è la ‘giustizia sociale’ del socialismo bolivariano”.

Julio Borges, ministro degli Affari esteri del governo di Guaidó, ha dichiarato che, “in un Paese fallito, dove i venezuelani guadagnano meno di due dollari al mese e muoiono di fame, il regime e i suoi complici inaugurano un concessionario Ferrari. È il riflesso dell’indolenza e il degrado morale della dittatura. Sono corrotti, riciclatori di denaro che espandono i loro business illegali”.

E sulle risorse del regime ci sono novità. Le autorità svizzere hanno identificato diversi conti bancari per circa 10,1 milioni di dollari che conterrebbero fondi pubblici del Venezuela.

Il quotidiano svizzero Le Matin Dimanche, sostiene che dal 2019 la Procura di Zurigo ha avviato diverse indagini che hanno trovato centinaia di conti a nomi di funzionari del governo di Nicolás Maduro. Con questo, il Venezuela diventa “la più grande fonte di risorse sospette nelle banche svizzere”. In totale sarebbero circa 30 banche, per cui una banca su otto in Svizzera è coinvolta nel caso.

L’agenzia Bloomberg riferisce che dei 10 miliardi solo pochi sono stati bloccati da un tribunale di Zurigo; il resto è stato trasferito in altri Paesi. E aggiunge che da quei conti “sono state acquistate ville a Miami, yacht, cavalli di corsa e orologi svizzeri di lusso”.

La Procura di Zurigo ha cinque indagini aperte per riciclaggio di denaro dal Venezuela dal 2010, favorito dal controllo del sistema di conversione della moneta straniera da parte dello Stato venezuelano.

“Uno dei principali attori del sistema di conversione – si legge su Bloomberg – sarebbe Raúl Gorrín, magnate del mondo delle telecomunicazioni vicino al regime di Nicolás Maduro, e dal 2020 ricercato dalle autorità americane”.

Uno dei principali conti in Svizzera a nome di Gorrín è nella banca Compagnie Bancaire Helvétique a Ginevra. Dal 2012 al 2013, su questo conto sono stati versati 2,9 miliardi di dollari, che poi sono stati inviati in piccole quantità a diverse imprese fantasma.

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