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La Nato alla prova dell’intelligenza artificiale

Francesco Talò, Antonio Missiroli, Agostino Santoni, Enrico Prati e Andrea Gilli. Ecco cosa si è detto all’evento del Centro studi americani dedicato all’intelligenza artificiale, “un acceleratore di innovazione”, ma anche “una sfida internazionale che l’Occidente deve affrontare unito”. E alla Nato serve una strategia specifica per l’IA

Che ci piaccia o meno, l’intelligenza artificiale sta già rivoluzionando la competizione globale, compresi gli affari militari. La Nato è impegnata a mantenere il vantaggio tecnologico sugli avversari, Cina e Russia, e per questo chiama a raccolta mondo industriale e accademia, consapevole che la sfida non sia solo tecnica, ma anche (e forse soprattutto) etica e organizzativa. È il quadro che arriva dal Centro studi americani (Csa), dove ieri è andato in scena il dibattito web per la presentazione del rapporto “Nato-Mation: strategies for leading in the age of artificial intelligence” di Andrea Gilli, senior researcher del Nato Defense College. A fare gli onori di casa il nuovo direttore del Csa, Roberto Sgalla. Con loro, sono intervenuti Antonio Missiroli, già assistant secretary general dell’Alleanza per le sfide emergenti di sicurezza, il professor Enrico Prati, senior research scientist del Cnr, Agostino Santoni, amministratore delegato, Cisco Italia, e l’ambasciatore Francesco Maria Talò, rappresentante permanente d’Italia al Consiglio atlantico.

APPELLO ALL’OCCIDENTE

Di base c’è una consapevolezza condivisa da tutti i relatori: l’intelligenza artificiale è una sfida rivoluzionaria. “Ha un carattere così sconvolgente – ha spiegato l’ambasciatore Talò – che già si parla di una nuova tappa nell’evoluzione della specie homo sapiens, che per la prima volta vede l’uomo come soggetto dell’evoluzione e non come oggetto”. Ciò, ha aggiunto, “ci obbliga ad assumerne le guida, non solo sotto il profilo tecnologico, ma anche di indirizzo politico”. E se la sfida è politica e internazionale, il contesto di riferimento è quello dell’Occidente, “Europa e Stati Uniti, Nato e Unione europea, si vince solo se insieme”, ha rimarcato Talò. Sul punto l’Alleanza Atlantica è attiva, e nell’ambito del processo di riflessione interna Nato2030 ci sarà un abbondante focus per le tecnologie emergenti e disruptive, inclusa l’intelligenza artificiale.

L’APPROCCIO DELLA NATO

A inizio maggio, la Science and Technology Organization dell’Alleanza ha pubblicato il rapporto “Science & Technology Trends: 2020-2040”, dedicato alla tecnologie “disruptive” che cambieranno la guerra del futuro. C’è anche l’intelligenza artificiale, ritenuta capace nel giro di un decennio di rivoluzionare il confronto militare con effetti sulla competizione globale paragonabili all’ingresso nel confronto geopolitico della bomba atomica. Per questo l’Alleanza sta lavorando su una specifica strategia sull’IA, come notato nel corso del convegno da Antonio Missiroli, che fino a poche settimana fa coordinava i lavori al quartier generale di Bruxelles sulle minacce emergenti, compresi quelli che hanno portato all’istituzione di una “innovation unit” apposita per le nuove tecnologie.

IL RUOLO DELL’INDUSTRIA

D’altra parte, ha spiegato Missiroli, parliamo di “sfide diverse dal passato”. Diverse perché, per la prima volta, “il progresso tecnologico non è direttamente promosso o controllato dagli Stati”. Significano che i grossi investimenti arrivano “dal settore civile, con finanziamenti ad alto livello di rischio”, e che dunque l’impegno non può più essere puramente istituzionali. Ne consegue l’invito (anch’esso condiviso da tutti i relatori) a una più stretta collaborazione tra istituzioni, industria e accademia. A rilanciarlo anche Agostino Santoni, amministratore delegato di Cisco: “quando privato e pubblico riescono a collaborare, la velocità dell’innovazione è decisamente maggiore”.

LA VELOCITA’ DELL’INNOVAZIONE

Ciò sembra un’esigenza particolarmente forte per l’intelligenza artificiale, lì dove si rischia il maggiore scostamento tra la rapidità dell’innovazione tecnologia e la lentezza dell’adattamento da parte delle organizzazioni. “Il fattore critico per il successo – ha spiegato Santoni – è fare in modo che la velocità della tecnologia sia pari alla velocità del cambiamento organizzativo e della formazione delle persone”. Il problema è che la tecnologia corre veloce. L’IA, ha notato il manager, è già “un acceleratore di innovazione”. Tre i trend in cui sta dispiegando i suoi effetti e che vedono Cisco in prima linea (con 26mila ingegneri in tutto il mondo): l’Internet delle cose, il 5G e la cyber-security.

I COMPETITOR

Su tutti questi campi, ha ricordato Missiroli, la sfida è già globale, con Mosca e Pechino determinati a vincere la corsa sull’intelligenza artificiale. A settembre 2017 Vladimir Putin affermò che “chi svilupperà la migliore intelligenza artificiale diventerà il padrone del mondo”. Tre mesi prima, il Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese aveva rilasciato il Piano di sviluppo per una nuova generazione d’intelligenza artificiale (Aidp), identificando un obiettivo chiaro: rendere il Paese entro il 2030 leader nel campo dell’intelligenza artificiale. L’obiettivo sembra credibile, ha spiegato il professor Enrico Prati. “Una sola città cinese ha finanziato progetti di IA per 16 miliardi di dollari, un investimento spropositato rispetto alle iniziative medie dei Paesi occidentali”. Di più: “Nella classifica delle prime università al mondo per numero di pubblicazione sull’intelligenza artificiale, le prime otto sono cinesi”.

IL RAPPORTO

Anche per questo alla Nato “serve una strategia di intelligenza artificiale”, ha detto Andrea Gilli, autore dello studio che offre all’Alleanza un’utile bussola per orientarsi nella nuova era tecnologia. L’IA, ha spiegato, rientra tra le cosiddette “general purposes technology, cioè tecnologie a scopi plurimi, in grado di produrre enormi ricchezze se affiancate dalle innovation complementarities”. Sono infrastrutture, materiali, ulteriori tecnologie, algoritmi e persino le innovazioni procedurali interne alle organizzazioni. Ne parla Gilli nel suo rapporto, con una molteplicità di suggerimenti rivolti alla Nato per non perdere la nuova grande sfida tecnologica.

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