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Cina, Afghanistan e missili. Tutte le sfide del 2021 per l’Alleanza Atlantica

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha scelto la Germania (e in particolare i parlamentari della CSU) per spiegare le sfide del 2021 per l’Alleanza Atlantica. Confida “molto” sul ruolo di Berlino nel rafforzare i legami tra le due sponde dell’Atlantico e cita Afghanistan e controllo degli armamenti tra le sfide più urgenti

La nuova amministrazione americana, le decisioni che attendono l’Afghanistan e il controllo degli armamenti in attesa di capire il destino del trattato New Start. Il 2021 sarà un anno “pivotal” per l’Alleanza Atlantica secondo Jens Stoltenberg, il segretario generale che nel giorno dell’Epifania è intervenuto (in video conferenza) di fronte ai parlamentari della CSU tedeschi, riuniti dal loro presidente Alexander Dobrindt per l’incontro con il vertice della Nato. Non è d’altra parte un segreto che la Germania stia lavorando per guadagnare un ruolo maggiore nelle dinamiche euro-atlantiche, comprese quelle attinenti agli affari militari.

IN ATTESA DI BIDEN

Ciò riguarda pure il rapporto con gli Stati Uniti, per cui Angela Merkel è stata tra i primi leader europei a scommettere su Joe Biden. La nuova amministrazione americana ristabilirà toni più tradizionali tra le due sponde dell’Atlantico, ma non farà venir meno le richieste di Washington agli alleati per una maggiore assunzione di responsabilità. Non ci saranno più le strigliate impreviste di Donald Trump né i suoi toni duri, ma l’impostazione esigente è destinata a essere preservata. Per questo Stoltenberg ha sottolineato ai parlamentari tedeschi che il 2021 rappresenta “un’opportunità per ri-energizzare le relazioni transatlantiche e rafforzare ulteriormente il legame tra Europa e nord America”. Dunque, ha notato, “dobbiamo restare uniti e conto molto sulla Germania nel giocare un ruolo-chiave in tale sforzo”.

IL TEST DI FEBBRAIO

Il primo test sarà a febbraio, quando i ministri della Difesa si riuniranno con il nuovo capo del Pentagono, in attesa di capire se il segretario designato da Biden, il generale Lloyd Austin III, riuscirà a superare l’iter aggravato di conferma al Congresso. Le novità dalla Georgia dovrebbero favorirlo, anche se il Partito Democratico è stato spesso diviso sul tema del controllo del Pentagono affidato a un ex generale (che non ha passato i sette anni dal ritiro previsti dalla legge). Alla ministeriale di febbraio si testerà anche la linea dell’amministrazione Biden sull’Afghanistan.

IL NODO AFGHANISTAN

“Sarà un anno di decisioni per l’Afghanistan”, ha spiegato Stoltenberg. L’allungo sul ritiro voluto da Donald Trump è ormai frenato, e dovrebbe essere ribadita la linea “in together, out together”. Ciò resta condizionato ai negoziati di pace intra-afgani, spesso stoppati dagli attentati talebani. “Ci sono molte sfide e molte incertezze – ha detto il segretario generale – ma di certo il dialogo è l’unica strada per la pace e l’unico modo per una soluzione pacifica e negoziata”.

SE SCADE IL NEW START

Piuttosto stringenti i tempi per il trattato New Start, in scadenza a inizio febbraio. Siglato da Barack Obama e Dmitrij Medvedev nel 2010, ha sostituito i precedenti Start I, Start II e Sort, fissando a 1.550 il limite di testate nucleari per le due superpotenze e a 700 il massimo di vettori nucleari dispiegati contemporaneamente (tra velivoli, missili e sottomarini). Negli ultimi anni è stato lo strumento grazie a cui le due potenze hanno ridotto i rispettivi arsenali. Entrato in vigore il 5 febbraio del 2011, ha una durata decennale e può essere prorogato per non più di cinque anni. I negoziati tra le due potenze hanno vissuto fasi alterne, convergendo solo a ottobre sulla proposta americana per un rinnovo del trattato ridotto nei tempi (per uno o due anni), ma allargato a ogni tipo di testata nucleare e con un sistema di monitoraggio più imponente. Trump avrebbe voluto chiudere quanto meno un’intesa di massima con Putin, ma non c’è riuscito. L’impressione è che la Russia volesse aspettare di capire l’esito del voto americano.

LA POSIZIONE DI BIDEN

Quando il New Start fu siglato nel 2010, il presidente eletto Joe Biden era vice presidente di Obama. Nella “2020 Democratic Party Platform” approvata dalla convention democratica ad agosto, si pone esplicitamente il rinnovo del New Start tra gli obiettivi, elemento ribadito a più riprese dallo stesso Biden, per cui si potrebbe procedere con il rinnovo quinquennale senza modifiche. I tempi sono davvero molto stretti, e le defezioni importanti al vertice del Pentagono degli ultimi mesi potrebbero non aver aiutato il team di Biden a preparare il dossier. La Nato ha sempre chiarito di voler vedere rinnovato il trattato. “Dobbiamo assicurarci che, quando il New Start scadrà il mese prossimo, non ci ritroveremo in una situazione in cui non esiste un accordo che regoli il numero di testate nucleari”, ha spiegato Stoltenberg. L’ambizione occidentale (su cui converge anche la Russia) è comprendere in un nuovo sistema di controllo anche la Cina. Il Dragone d’Oriente è ormai da un anno nell’agenda della Nato, annoverata tra le “sfide” per la sua costante ascesa in tanti domini, compreso quello militare.

LA RIFLESSIONE INTERNA

In tutto questo si procede con la riflessione strategica sul futuro dell’Alleanza. A dicembre Stoltenberg ha presentato ai ministri degli Esteri il rapporto Nato2030 redatto dal gruppo di dieci esperti da lui nominati. Verrà presentato nel corso dell’anno anche ai capi di Stato e di governo durante il summit biennale (per cui non c’è ancora una data). Contiene oltre 130 raccomandazioni, da aggiungere ai lavori paralleli condotti dalla Nato con il coinvolgimento dell’intesa società civile, esperti, addetti ai lavori, governi e imprese. Sarà la base per l’adattamento al futuro, da specificare poi in ulteriori documenti a partire da un nuovo Concetto strategico.

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