Pubblichiamo un estratto dell’ultimo libro di Leonardo Bellodi, “La nuova sovranità. Un saggio” (Giappichelli). Un anno di virus ha riscritto le regole della globalizzazione e del multilateralismo. Ma non ha estinto la sovranità, anzi. Ecco perché
I cambiamenti impressi all’ordine del mondo dal tumultuoso Novecento, con la netta accelerazione della fine del millennio hanno fatto sorgere la questione se tale trasformazione abbia o meno modificato la struttura classica della Comunità internazionale, fino a rimettere in discussione i concetti essenziali in primis, quello di Sovranità statuale.
È indubbio che oggi le scelte e le azioni di uno Stato siano molto più condizionate da fattori esterni rispetto al passato, e le sue frontiere molto più porose per via della forza della globalizzazione economica, che non si esaurisce in quella delle multinazionali, ma anche della pressione politica per una globalizzazione dei diritti umani.
Come sempre ha fatto nella storia, il diritto si è evoluto, adeguandosi alle nuove dinamiche sociopolitiche: il diritto internazionale contemporaneo tende a regolare anche tale flusso globale di relazioni, generando ciò che oggi viene definita Global Governance.
Tale sistema non prevede gerarchie bensì una nuova rete inter-relazionale capace di superare il modello tradizionale verticalizzato a favore di una partecipazione decentrata e inclusiva di soggetti, anche privati, secondo lo schema orizzontale della rete, e l’utilizzo della soft law in luogo della tradizionale normativa vincolante.
Per quanto riguarda la tenuta dello Stato sovrano, il fatto che abbia modificato il proprio comportamento su pressione della globalizzazione economica e politica non ha rilevanza dal punto di vista del diritto.
Le norme giuridiche possono anche limitare la sua libertà di agire, ma non ne limitano la sovranità. In un mondo dove le categorie di “soggetto internazionale” e di “diritto internazionale” continueranno a espandersi e a rinnovarsi, lo Stato continuerà a essere l’attore protagonista sul palcoscenico globale.
Il bisogno di territorialità, di uno spazio dove esercitare il proprio potere, evidentemente è più vivo e attuale che mai. In questa stagione in cui il mondo intero si sta confrontando con il virus del Covid-19, stiamo tutti vivendo in una sorta di gigantesco case-study sulle tensioni e interazioni tra la dimensione internazionale e quella domestica, tra la forza della globalizzazione e le rivendicazioni dei singoli sovrani.
La pandemia, fenomeno mondiale che prescinde da ogni barriera o confine nazionale ci ricorda quanto i governi, che entro quei confini ridiventati rigidi hanno varato misure draconiane, possano essere invasivi, pur perseguendo obiettivi nobili quali la nostra protezione sanitaria ed economica.
Negli Stati Uniti, il presidente Trump ha riesumato il Defence Production Act, varato ai tempi della guerra di Corea, rivendicando il diritto di ordinare alle aziende private di reindirizzare la propria produzione verso i beni necessari per contrastare il virus.
A Washington come a Francoforte e altrove, inoltre, “il bazooka finanziario” è stato usato con una potenza di fuoco superiore alla crisi del 2008, per stabilizzare i mercati e sostenere l’economia reale. Gli eserciti sono stati mobilitati per costruire ospedali e prestare soccorso. E in Italia, come in altri Paesi europei, abbiamo tutti subito pesanti restrizioni alle libertà individuali più elementari, che fino a ieri davamo per scontate e incomprimibili.
Chi sostiene che un processo di deglobalizzazione sia già iniziato, dispone quindi di argomenti persuasivi. Il processo d’irrigidimento delle frontiere si è accelerato nel periodo del Coronavirus: è una misura emergenziale che prevede un lento ritorno alla normalità, suscettibile però di nuovi stop e condizioni.
È più realistico e costruttivo pensare che non ci si salva da soli, né dal punto di vista sanitario, né da quello economico. Nel caso di specie, la crisi ha illuminato la vacuità delle decisioni nazionali riguardo al chiudere o riprendere l’attività produttiva senza tenere conto delle catene globali del valore. La crisi non si supera alzando muri di fronte a casa ma impone di rafforzare i processi di coordinamento globale, sia per le questioni sanitarie che per quelle economiche.
Il case study dell’emergenza Coronavirus, insomma ha esaltato, evidenziandoli, i processi contraddittori in cui si articola la multiforme crisi della sovranità.
Emergenze sanitarie, terrorismo, violazione dei diritti umani, armi di distruzione di massa – temi di cui il libro tratta – sono tutti fenomeni che richiedono interventi coordinati della Comunità internazionale e quando questo coordinamento non è possibile per mancanza di volontà o di mezzi da parte di uno o più Stati, è la Comunità internazionale nel suo insieme che ha il potere e il dovere di agire.
Lungi dall’essere destinata all’estinzione, la sovranità può uscire rafforzata ed esaltata dalla sua crisi d’identità, nel momento in cui assorbe e si fa carico di un più vasto sistema di valori e di responsabilità nei confronti dell’Umanità.