Rimpasto, Conte III o altro nome? Difficile la terza ipotesi: intanto per il nome, ma soprattutto perché a cambiare la maglietta del capitano si scassa tutto. È più probabile, allora, che il successore di Conte sia Conte. Nella formula light del rimpasto o in quella hard del nuovo governo. La rubrica di Pino Pisicchio
L’analisi politologica senza l’aiuto della psicologia è insufficiente. Già la politica, di suo, gronda di irregolarità che ne fanno in partenza un percorso ad ostacoli con andamento sinusoidale e non lineare. Figurarsi quando non esiste più né l’aiuto della casistica, del precedente storico e tantomeno il guard rail dell’ideologia. Resta solo il “cui prodest”. Anzi, con il sovrappiù della psicologia, diremmo “cui prudest?”. Con questa non abbagliante luce psico-politica cerchiamo di capire che sta succedendo al governo.
Questo governo nasce avendo come levatore Renzi. Per chi non lo ricordasse rinfreschiamo la memoria: dopo la rottura di Salvini, ancora circonfuso dai riti dionisiaci del Papeete beach, Zingaretti si era già rassegnato alle elezioni anticipate preparandosi al mesto ruolo di capo dell’opposizione. A quel punto Renzi, in un angolo per anoressia di consensi (nei sondaggi) e ridimensionamento di rappresentanza parlamentare (dopo la scissione del Pd), fa la mossa del cavallo: supera la pregiudiziale antigrillina e si fa patrono del Conte giallorosso facendosi garante con la sua pattuglia di parlamentari, indispensabile al Senato. Soddisfatte, così, le pulsioni fondamentali del già presidente: salvarsi da morte elettorale certa (esigenza politica) e riprendersi la scena da prim’attore (esigenza psicologica).
Passa un anno e mesi, Conte diventa protagonista assoluto delle giornate degli italiani murati in casa davanti alla tv, il governo assume su di sé poteri che somigliano a quelli che gli antichi Romani davano ai magistrati in età repubblicana quando c’era una guerra, arrivano perfino 200 e più miliardi dall’Europa e l’ Italia Viva, la creatura di Renzi, piuttosto che vivere, sopravvive con fatica, come, del resto, l’Italia vera. E c’è un di più: Conte ha tutta l’aria di volersi mettere in proprio, guarda caso nell’area di mezzo che sarebbe quella per cui lavora e congettura Renzi, pensando ad imbarcare Calenda e, perché no, guardando allo spazio berlusconiano. A quel punto basta: bisogna fermare la macchina.
Torna il protagonismo psicologico che porta con sé anche il calcolo politico (e forse la non ostilità di qualche altro player di governo). Servizi segreti, Recovery Plan? tutto va bene per creare il caso. Per arrivare dove? Escludiamo le elezioni anticipate (che in realtà nessuno vuole ma Renzi ancora meno), restano le ipotesi di cui i giornali sono pieni: rimpasto, Conte III o altro nome. Difficile la terza ipotesi: intanto per il nome – forse l’unico possibile sarebbe Gualtieri, in una situazione anfibia tra tecnica e politica – ma soprattutto perché a cambiare la maglietta del capitano si scassa tutto. Bisognerebbe riquadrare i pesi e non sarebbe impresa da poco perché non bisogna dimenticare che in questo Parlamento il M5S ha ancora una maggioranza relativa. È più probabile, allora, che il successore di Conte sia Conte. Nella formula light del rimpasto o in quella hard del nuovo governo.
In entrambe le ipotesi un passaggio parlamentare, per raccogliere la fiducia della maggioranza, si renderà necessario, sotto forma di un voto ad un documento o di una vera e propria mozione di fiducia. Renzi avrebbe la soddisfazione di aver ricordato chi è che ancora può dare le carte in questa maggioranza, ed anche qualche riscontro “pragmatico” (ministeri a parte, c’è ancora un oceano di nomine che il governo dovrà fare). Conte resterebbe ancora a capo del governo, con l’aspirazione di passare alla storia della Repubblica, e deputati e senatori di tutte le razze potrebbero tirare un sospiro di sollievo: “Anche questa volta l’abbiamo sfangata”. Tutti felici e contenti. Fino al prossimo show down.