Un partito del premier, in caso di elezioni nei prossimi mesi, potrebbe attrarre quel ceto politico in balia di liste civiche e rimasto senza una casa sicura. Dunque la nascita di un Conte-ter potrebbe spaventare molto Pd e 5 Stelle. La previsione di Pino Pisicchio
Diciamola tutta: nella vicenda della crisi di governo gli unici gesti comprensibili da una mente limpida e non turbata da folle di retropensieri in conflitto fra loro, sono quelli del Capo dello Stato. Il mandato esplorativo a Fico è impeccabile: dopo il primo giro di consultazioni con i gruppi parlamentari, Mattarella ha registrato che la maggioranza a sostegno di Conte II potenzialmente ancora ci sarebbe, per quanto confermata solo nei vecchi numeri che consegnarono la golden share a Renzi (perché i responsabili-costruttori-europeisti e quant’altro sono riciclaggi di chi già c’è e non aggiungono un unghia laddove occorrerebbe parecchio di più).
Di qui il coerente incarico al Presidente della Camera, che da quell’area politica venne indicato alla terza carica della Repubblica. Dopo il rapido giro di Fico, allora, si passerà al reincarico di Conte per un ter che segnerà il conferimento al professore pugliese dell’oscar della salamandra politica (oggi va di moda dire resilienza, ma insomma il concetto è quello) per essere riuscito ad attraversare, senza battere ciglio e senza perdere colpo, il primo tempo a ipoteca destrorsa, il secondo ad ipoteca sinistra e adesso un terzo ad ipoteca renziana con l’impeccabile aplomb dei suoi abiti sartoriali, a metà tra l’english style e Arnaldo Forlani? È sicuramente una consistente ipotesi in campo.
Con dentro una variabile, però: sarà pur vero che in questa nuova stagione post-ideologica la psicanalisi diventa l’unica chiave per capire come orientarsi per interpretare i comportamenti dei suoi attori. Ma è vero pure che alcune interpretazioni restano eterne. E, come in tutte le comunità composte da esseri viventi, una di queste è la difesa del territorio dalle incursioni nemiche, uno dei moventi più “politici” dell’azione di rottura compiuta da Renzi nei confronti di Conte e del suo nuovo partito. Si tratta di un aspetto stranamente sfumato nelle analisi politiche di queste ultime ore, ma assume un peso centrale nella complicata partita delle prossime.
Quella specie di prolasso dichiaratorio dei maestri “costruttori contiani” davanti alle telecamere ha posto, nel modo peggiore, il tema del partito del premier. Una lista del presidente che arrivi in carica alle elezioni, significa, ad andar male ( Monti 2013) almeno l’8-10% se non di più. Non un voto tolto alla destra. Molti sottratti al PD, al M5S e a tutti quelli che aspirano al segmento elettorale del centro ( Renzi, Berlusconi, Calenda e tutto l’eterno pulviscolo stellare dell’area di mezzo). Certo le elezioni anticipate non sono alle viste e neanche compaiono nelle parole del Capo dello Stato.
Ma il partito del presidente sarebbe una seduzione irresistibile per un bel pezzo di ceto politico sul territorio, rimasto senza una casa sicura o prigioniero delle liste civiche: un mondo pronto a organizzarsi con il brand scintillante di un nuovo che conta e avanza. Chiaramente senza la spinta imponente del ruolo presidenziale quel partito farebbe fatica a nascere: con elezioni politiche lontane nel tempo e nessun ruolo nelle istituzioni non sarebbe più un pericolo per gli altri. Torniamo, allora, alla domanda: quanto peserà questo nelle scelte delle prossime ore? Perché, alla fine, gli istinti di base della politica non cambiano mai.