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L’Italia e l’università, in bilico tra meriti e ranking

Chi c’era e cosa si è detto alla presentazione della ricerca di “italiadecide” dal titolo “L’Italia e la sua reputazione: l’università” organizzata ieri dalla Luiss Guido Carli

La reputazione dell’università italiana nelle classifiche internazionali con le sue criticità e prospettive è stata al centro della ricerca realizzata da italiadecide in collaborazione con Intesa Sanpaolo e redatta da Domenico Asprone, Pietro Maffettone, Massimo Rubechi e Vincenzo Alfano. L’obiettivo della ricerca è porre a confronto differenti punti di vista, competenze, responsabilità per valutare la rilevanza dei ranking internazionali nella higher education, l’appropriatezza del posizionamento dell’Italia, le iniziative per migliorare la nostra reputazione internazionale in questo settore strategico per lo sviluppo e la competitività del paese e delle sue imprese.

Tra i partecipanti al webinar organizzato ieri dalla Luiss Guido Carli per presentare la ricerca, Paola Severino vicepresidente dell’università Luiss Guido Carli, Anna Finocchiaro, presidente di italiadecide, Stefano Lucchini chief institutional affairs and external communication officer di Intesa Sanpaolo, Pietro Maffettone, Università degli studi di Napoli Federico II, Dario Consoli business development Qs intelligence unit, Alberto Baccini, università degli studi di Siena, co-fondatore e membro Roars e Mirko Degli Esposti, università degli studi di Bologna, coordinatore commissione Crui sui ranking.

LA REPUTAZIONE DELL’ITALIA

Paola Severino ha sottolineato l’importanza della ricerca di italiadecide come iniziativa di approfondimento e ricerca scientifica puntuale e oggettiva: “Il tema della reputazione dell’Italia è sempre molto discutibile, passiamo da picchi di eccellenza a picchi di desolante vuoto”.

Il focus della ricerca passa dai ranking come “misuratori” della reputazione del paese. “I ranking cioè, le valutazioni, non hanno un valore assoluto, non possono essere letti come meri numeri ma considerati sulla base dei vari contesti”. Per spiegare questa affermazione, la professoressa Severino ha ripreso la prefazione della ricerca, rilevando come a livello universitario esistano sistemi a qualità diffusa e sistemi basati sulla qualità dei singoli atenei.

Quello italiano, ha spiegato la vicepresidente Luiss, è sicuramente un sistema a qualità diffusa: a differenza del Regno Unito, il livello medio delle singole università italiane è molto più alto di quelle del sistema anglosassone nel quale vi sono poche università di ottima qualità e molte università di livello medio-basso. In questo caso, quindi, è necessario leggere i dati dei ranking dando per assunto questo fattore, al fine di non rendere una rappresentazione fallace del sistema.

“Il grande pregio di questa ricerca è di aver messo in rilievo non i numeri ma la comparazione tra sistemi, perché se vogliamo migliorarli e non singolarmente, è al tema del confronto sistematico che ci dobbiamo ispirare” ha aggiunto Severino.

UNA LETTURA DEL SISTEMA UNIVERSITARIO

Nell’iniziare la ricerca, ha detto Anna Finocchiaro seguita da Stefano Lucchini, si è partiti dalla tendenza all’auto-denigrazione italiana, che è “sintomo e causa: il sintomo di un difetto di fiducia nelle nostre capacità e in quelle complessive del nostro sistema, produttivo di sfiducia soprattutto sulle giovani generazioni che si sentono appartenere o sentono raccontare di appartenere a un paese che non può, che non sa, che non è capace, mentre così non è”. La rilevazione della presenza dell’Italia in basso alla classifica dei ranking riguardanti il benessere o la libertà di stampa, per Stefano Lucchini, ha rappresentato la vera sfida da cui partire.

La ricerca parte dalla lettura del sistema universitario collocandolo tuttavia in un altro contesto. Sono numerose le alternative presentate per profilare il sistema universitario italiano sotto il punto di vista del ranking, che, ricorda la presidente di italiadecide, rappresenta il cuore e il fattore determinante di innovazione sociale ed economica, oltre che un settore di investimento strategico per la nostra competitività.

L’obiettivo è quindi non soltanto quello di formare il capitale umano – ha aggiunto Finocchiaro – ma anche e soprattutto di migliorare la società e le condizioni complessive del paese a partire dai territori e dalle comunità. Il sistema universitario italiano “è un sistema diffuso, ma nell’essere diffuso e pubblico è anche produttivo dei valori essenziali ad ogni comunità democratica cioè l’uguaglianza, l’affermazione del merito e la mobilità sociale. Il sistema universitario italiano è un’eccellenza condivisa e diffusa sull’intero territorio nazionale”.

Il punto cruciale è capire cosa si possa fare per migliorare i ranking in Italia, si tratta “di un tema di antropologia culturale – ha rilevato Stefano Lucchini – è necessaria una maggiore attenzione alla programmazione economica e sociale, così come all’educazione civica che ormai da troppi anni è stata abbandonata nelle scuole. Ma anche sapere quanti medici serviranno nei prossimi anni e quindi quanto le università possano essere un serbatoio al servizio del nostro Paese”.

Pietro Maffettone ha ricordato come il sistema universitario rappresenti la parte centrale della reputazione di un paese in generale. In particolare, la ricerca di italiadecide ha adottato due diversi approcci rispetto ai ranking: il primo è criticarne gli aspetti metodologici, i limiti e le difficoltà e il secondo è analizzare i dati e il quadro che rappresentano. Da questo punto di vista, se guardiamo ai ranking, un enorme proporzione del sistema universitario italiano è tra le posizioni apicali a livello mondiale, anche se non si trovano università italiane nelle prime dieci, venti o cento posizioni delle classifiche. “Non è un dato che contesta i ranking ma è semplicemente un modo diverso di guardarli. I ranking non dicono che il sistema universitario italiano ha un risultato negativo ma tutt’altro, soprattutto negli occhi di chi vuole davvero conoscere come viene istruito il Paese”.

PANDEMIA E NUOVE SFIDE PER L’UNIVERSITÀ

Il valore della ricerca è ancora più significativo quest’anno in cui l’università e il suo circuito relazionale sono stati messi a dura prova dal Covid. Le università italiane si sono avvalse di piattaforme dialoganti di didattica a distanza. “Il digitale – ha affermato Paola Severino – non sostituirà mai la presenza e la vicinanza necessarie al tema dell’insegnamento. Ma credo che la pandemia ci abbia già cambiato e dopo la pandemia non torneremo indietro”.

È questa la vera sfida che attende il sistema universitario italiano così come quello internazionale: nel futuro la piattaforma non perderà il suo ruolo, quindi sarà necessario realizzare una sintesi tra la tipologia di università tradizionale e quella che la pandemia ci ha imposto, una parte di insegnamento sarà in presenza, ma un’altra parte continuerà sulle piattaforme.

Il sistema universitario italiano – ha sottolineato Pietro Maffettone – è di ottima qualità e contribuisce alla formazione di cittadini che, in quanto tali, concorrono all’andamento democratico del paese, “questa è l’idea che ci si deve fare del sistema, con tutte le sue criticità e i suoi problemi”. L’impatto della pandemia è stato ovviamente considerato nel rapporto, anche se è presto per delinearne i contorni precisi.

Maffettone ha evidenziato la buona performance da parte delle università italiane che sono riuscite ad erogare lo stesso numero di lezioni, lauree ed esami dell’anno precedente con addirittura un incremento del 9% nel numero di iscritti su tutto il territorio nazionale.

Quello che manca di più in questo momento, ha rilevato Mirko Degli Esposti, è sicuramente il rapporto tra studenti e professori ma anche il confronto tra studenti.

SE NON ORA, QUANDO?

La reputazione e quindi i ranking rappresentano il primo elemento utilizzato dagli studenti provenienti da qualsiasi paese, ha affermato Dario Consoli, e l’Italia può contare i suoi migliori risultati nella reputazione accademica.

Un altro tema cruciale se si pensa alle classifiche basate sulla reputazione è rappresentato dalla ricerca e dalle problematiche che hanno portato i ricercatori italiani ad adattarsi e cambiare i loro comportamenti, ha detto Alberto Baccini, soprattutto per il legame del loro lavoro con la quantità di citazioni all’interno degli studi pubblicati.

L’indicatore che ci penalizza, secondo Mirko Degli Esposti, è quello del rapporto tra studente e docente quindi del numero di studenti per ogni docente. L’urgenza è quella di non usare i ranking come obiettivo strategico ma nell’ottica di aumentare la reputazione e la visibilità delle università italiane. Questo attraverso investimenti nel rapporto tra studenti e docenti, potenziando sia il numero di studenti che quello di docenti, utilizzando quindi i ranking per allocare risorse.

In questo modo, ha assicurato Degli Esposti, si migliorerebbe la qualità del sistema universitario, si scalerebbero le classifiche e si darebbe un futuro alle generazioni che vengono, “su cui stiamo mettendo un debito elevato e l’unica maniera di ripagarli è di investire in formazione. Se non ora, quando?”


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