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Rifiuti, non si vietano gli impianti per legge. Parola della Corte

Di Massimo Medugno e Tiziana Ronchetti

Per legge non si pianifica, ma soprattutto non si possono indicare le localizzazioni di queste strutture a prescindere. La gestione in materia va fatta rigorosamente per atto amministrativo. L’intervento di Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta e dell’avv. Tiziana Ronchetti, esperta in diritto ambientale

Secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 272 del dicembre scorso) una legge regionale, sia pure riguardante i criteri localizzativi per gli impianti di combustione dei rifiuti e del Combustibile Solido Secondario (CSS), è costituzionalmente illegittima, in quanto non può indicare, a priori, le aree in cui si può localizzare un impianto o meno

Il caso riguarda la Legge Regione Marche 18 settembre 2029 n. 29, che all’art. 2 stabiliva che tali impianti dovevano essere ubicati ad una distanza minima di 5 km dal perimetro esterno delle zone residenziali dei centri abitati, come individuate dagli strumenti urbanistici.

Tale norma censurata determinava la costituzione di un divieto astratto che si traduceva in “una forte ostacolo alla (se non persino nella impossibilità di), realizzazione degli impianti con conseguente illegittimità costituzionale”.

Secondo la sentenza n. 272 proprio il procedimento amministrativo costituisce il luogo elettivo di composizione degli interessi, in quanto è nella sede procedimentale che può e deve avvenire il confronto dell’interesse del soggetto privato operatore economico con quelli di cui sono titolari cittadini e comunità e che trovano nei principi costituzionali previsione e tutela. In questo modo si garantisce l’imparzialità della scelta e il perseguimento dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).

Tali principi generali trovano corrispondenza nella prerogativa, propria del legislatore statale nelle materie affidate alla sua competenza legislativa esclusiva, di vincolare la Regione a esercitare in forma procedimentale l’attività amministrativa che la normativa statale abbia allocato a livello regionale, precludendo il ricorso alla funzione legislativa in materia.

Insomma per legge non si pianifica, ma soprattutto non si possono indicare le localizzazioni degli impianti a prescindere.

Il caso riguarda il tema sempre molto scottante dei rifiuti, ma in tempi di piani e programmi sembra uno spunto da tenere in particolare considerazione

La pronuncia della Corte Costituzionale è coerente con il nuovo assetto normativo che si è venuto a delineare con il recepimento delle nuove direttive europee che introducono la definizione di criteri e linee strategiche attraverso un Programma nazionale.

Infatti, il DLgs n. 116/2020 in attuazione delle Direttive europee n. 851 e 852 introduce in nuovo articolo 198 bis, Codice Ambiente, che disciplina il “Programma nazionale per la gestione dei rifiuti” per definire i criteri e le linee strategiche cui le Regioni e le Province autonome devono attenersi nella elaborazione dei Piani regionali disciplinati dal successivo art. 199 (comma 2) previa Valutazione Ambientale Strategica.

Evidenziamo alcuni dei contenuti del Programma nazionale (comma 3 dell’art. 198 bis):

lett c) l’adozione di criteri generali per la redazione di piani di settore concernenti specifiche tipologie di rifiuti, incluse quelle derivanti dal riciclo e dal recupero dei rifiuti stessi, finalizzati alla riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione dei flussi stessi;

lett f) l’individuazione dei flussi omogenei di produzione dei rifiuti, che presentano le maggiori difficoltà di smaltimento o particolari possibilità di recupero sia per le sostanze impiegate nei prodotti base sia per la quantità complessiva dei rifiuti medesimi, i relativi fabbisogni impiantistici da soddisfare, anche per macro-aree, tenendo conto della pianificazione regionale, e con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale;

lett f -bis) l’individuazione di flussi omogenei di rifiuti funzionali e strategici per l’economia circolare e di misure che ne possano promuovere ulteriormente il loro riciclo;

lett h) la definizione di un Piano nazionale di comunicazione e conoscenza ambientale in tema di rifiuti e di economia circolare;

lett i) il piano di gestione delle macerie e dei materiali derivanti dal crollo e dalla demolizione di edifici ed infrastrutture a seguito di un evento sismico, definito d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, sulla base dell’istruttoria presentata da ciascuna Regione e Provincia Autonoma.

Secondo il nuovo comma 8 dell’art. 199 Dlgs 152/2006, la Regione approva o adegua il piano entro 18 mesi dalla pubblicazione del Programma nazionale, a meno che i contenuti dello stesso non siano già conformi.

Secondo la nuova formulazione del comma 1 del citato art. 199 (sempre introdotta dal Dlgs n. 116/2020), viene espressamente specificato che l’approvazione dei Piani regionali avvenga per atto amministrativo.

All’interno dei Piani, ai sensi dell’art. 199 cit., comma 3, lett l), troverà posto l’indicazione dei criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento, nonché per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.

Insomma, la Pianificazione in materia di rifiuti va fatta rigorosamente per atto amministrativo.

In questo caso l’accesso al TAR e al Consiglio di Stato da parte dell’interessato, è sicuramente più agevole che un ricorso alla Corte Costituzionale.

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