È il momento buono, oltre che necessario, per una riflessione concreta sul fatto che il presidente del Consiglio, oltre a dotarsi di un supporto diretto e fiduciario nelle attività di intelligence, associ alle stesse quelle non meno importanti afferenti alla sicurezza e alla tutela dell’interesse nazionale. Il punto del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa
Anche Giuseppe Conte non si è sottratto alla regola ormai consolidata in base alla quale i neofiti della politica non si rendano conto, all’atto dell’assunzione delle responsabilità di governo, dell’importanza dell’intelligence come supporto delle attività quotidiane, segnatamente quelle decisionali.
L’ultimo esempio di tale inconsapevolezza è stato Mario Monti, anche lui tenace nel non delegare ad alcuno le attività di controllo sui Servizi, se non dopo il pasticcio dei Marò e dopo il rapimento e l’uccisione in Nigeria nel marzo 2012 di Franco Lamolinara, un tecnico italiano rapito e ucciso nel corso di un blitz delle teste di cuoio britanniche.
Spiace pertanto, soprattutto a chi ha una percezione più strutturata dell’interesse e della sicurezza nazionali, dover ancora una volta constatare come solo una condizione di inevitabilità debba costringere l’attuale presidente del Consiglio a un provvedimento che andava adottato ben prima, all’atto della nomina di ministri e sottosegretari.
Conte però ha, rispetto ai suoi predecessori una opportunità di riscatto offertagli dal particolare momento storico e dalla associata necessità di mettere in cantiere vere riforme anche nell’architettura istituzionale. E nel caso specifico a costo zero, senza ricorrere alle ingenti risorse in arrivo nelle casse dello Stato.
Abbiamo più volte, e anche nel non recente passato, auspicato che venisse finalmente attivato a livello di vertice di governo un istituto che, detto in estrema sintesi, fungesse da Consiglio di Sicurezza Nazionale, un organo di assistenza al vertice di governo che avesse sempre presenti e aggiornate le più corrette valutazioni sull’impatto di ogni decisione dell’esecutivo rispetto alla sicurezza e all’interesse nazionale.
Questo è il momento buono, oltre che necessario, per una riflessione concreta (e un sollecito seguito operativo), sul fatto che appunto il presidente del Consiglio, oltre a dotarsi di un supporto diretto e fiduciario nelle attività di intelligence, associ alle stesse quelle non meno importanti afferenti alla sicurezza e alla tutela dell’interesse nazionale. In altre parole, si dovrebbe poter pensare a un sottosegretario con delega ai servizi e alla sicurezza.
Un uomo di provata fiducia responsabile, per uscire dal vago, anche di altre materie, quali ad esempio il Golden power, la preservazione delle capacità tecnologiche, l’esportazione di materiali della difesa, la vendita o acquisto di asset strategici, le relazioni con altri Paesi (rapportate all’interesse nazionale), la creazione di un brand italiano nella lotta al crimine informatico, la partecipazione a missioni militari multinazionali e così via.
Naturalmente, data la complessità della materia, andrebbero previste le opportune articolazioni interne all’istituendo ufficio, individuando specifici contenitori o dipartimenti nei quali far confluire le variegate materie. E tenendo ben presenti fin d’ora le prevedibili difficoltà, perlomeno iniziali, causate dai mal di pancia, sicuri, di tutti i dicasteri che percepirebbero nel nuovo soggetto una sottrazione di loro competenze, così come è da mettere in conto sin d’ora un’attività di coordinamento ciclopica ed energica che, ancora una volta perlomeno nelle fasi iniziali, si mostrerebbe, come sempre, l’impegno più arduo conseguente alla particolare architettura del nostro Stato, quella regolata dalla Legge n. 400 del 23 agosto 1988.
Infine, un beneficio collaterale non da poco di una modifica nel senso descritto delle attività di governo sarebbe quella che, finalmente, verrebbe messo a punto in tutte le sue declinazioni l’interesse nazionale, cui tutti dovrebbero far riferimento. L’interesse nazionale, oggi un illustre sconosciuto o quantomeno modellato dai diversi attori istituzionali a loro giudizio o piacimento, quando non convenienza.