L’idea di fondo dell’agire politico di Putin in questi mesi non è cambiata, nonostante tutto, ed è da questo elemento che l’analisi su quando accaduto nel 2020 e su cosa riserva il futuro alla Russia deve partire: la stabilità del sistema e la sua perpetrazione in futuro. L’analisi diGiovanni Savino, senior lecturer presso l’Istituto di scienze sociali dell’Accademia presidenziale russa dell’economia pubblica e del servizio pubblico a Mosca
L’anno appena trascorso per la Russia è stato contrassegnato, oltre che dall’epidemia, dai cambiamenti costituzionali e dalle riforme introdotte da Vladimir Putin. Mesi particolari, dove probabilmente i piani iniziali del Cremlino si son dovuti adattare e ridefinire in base ai problemi sorti nel corso del 2020, problemi che si son annunciati come di lunga durata.
L’epidemia di Covid-19, con il bilancio provvisorio di 186,075 decessi legati direttamente o meno al virus, ha avuto e avrà degli effetti sul tessuto sociale ed economico del Paese, da anni in lotta con un deficit demografico preoccupante (nel 2019 la differenza tra i nati e i morti è stata di 259,500 in favore di questi ultimi) e con un sistema ancora troppo legato alle esportazioni di materie prime. La mancanza di misure complessive, nonostante gli annunci, di sostegno al reddito, alla piccola e media impresa e al consumo rischia di porre definitivamente la parola fine ai tentativi di ripresa intrapresi dopo il difficile periodo 2013-16, quando alla combinazione di diversi fattori – una contrazione fisiologica della crescita, la svalutazione del rublo e il crollo dei prezzi di petrolio e gas – si aggiunsero le sanzioni imposte dopo l’annessione della Crimea. Già oggi non è raro vedere a Mosca locali sfitti, dove ancora all’inizio della primavera vi erano caffè, ristoranti e attività di ogni genere, un segnale non trascurabile delle difficoltà in cui è piombata l’economia.
L’idea di fondo dell’agire politico di Putin in questi mesi non è però cambiata, ed è da questo elemento che l’analisi su quando accaduto nel 2020 e su cosa riserva il futuro alla Russia deve partire: la stabilità del sistema e la sua perpetrazione in futuro. Si è passati, nel corso della definizione delle riforme costituzionali, dal proporre una nuova architettura del potere esecutivo e legislativo con un maggiore ruolo per il Gosudarstvennyi sovet (Consiglio di stato) all’obnulenie (azzeramento) dei mandati di Putin, con la possibilità per l’attuale presidente di poter partecipare alle elezioni del 2024. Sarebbe errato vedere in questa svolta l’automatico allungamento della presidenza Putin, in realtà tale decisione sembrerebbe essere dettata dalle incertezze della transizione, e dall’assenza di soluzioni in grado di fornire garanzie tali da assicurare una solida e certa continuità del sistema putiniano.
L’instabilità ai confini della Russia, con la crisi bielorussa ancora lontana da una risoluzione soddisfacente e il conflitto nel Caucaso tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, ha contribuito ad aumentare la sensazione del Cremlino di trovarsi di fronte a perturbazioni dell’assetto internazionale che richiedono al tempo stesso cautela e risolutezza. È notizia di pochi giorni fa la rivelazione di tentativi da parte russa di metter su un’alternativa a Lukashenko però leale a Mosca, in linea con quanto sin dall’inizio degli eventi a Minsk abbiamo scritto, e ancora oggi i tentativi dell’establishment russo di provare a negoziare la liberazione di Viktor Babariko, il banchiere aspirante candidato alle presidenziali bielorusse, sono sempre presenti nelle discussioni con il regime di Lukashenko. Il Caucaso rappresenta una notevole complicazione per Mosca, perché al netto del raggiungimento di un fragile accordo tra Baku ed Erevan, vi è da registrare l’inserimento della Turchia di Erdogan nel difficile scacchiere regionale, e, nonostante l’esclusione ufficialmente dai colloqui tra armeni e azeri, sarà impossibile non tener conto di Ankara nei prossimi tempi.
Il 30 dicembre Putin ha firmato più di cento nuove leggi approvate dalla Duma nelle ultime settimane. Il quadro complessivo di queste leggi, indirizzate in gran parte a regolamentare ulteriormente le manifestazioni di strada e la diffusione di notizie su internet, è verso un inasprimento delle misure di controllo. Anche privati cittadini possono essere d’ora in poi sottoposti alla legislazione sugli “agenti stranieri”, se ricevono contributi dall’estero, e nel caso si rifiutino di iscriversi al registro apposito, rischiano fino a cinque anni di detenzione. I social network e media sono passibili di multe gigantesche (pari al 10-20% degli attivi) in caso di diffusione di contenuti vietati in Russia, e allo stesso tempo è vietata la diffusione e l’accesso ai dati personali e le proprietà dei magistrati, dei siloviki (i membri delle agenzie statali di intelligence, sicurezza), dei militari e degli appartenenti delle forze dell’ordine. Quest’ultimo provvedimento punta a minare un’importante fonte per le inchieste promosse dal politico e blogger Alexey Navalny, vittima lo scorso agosto di un tentativo di avvelenamento.
Il caso Navalny rappresenta un’ulteriore difficoltà per il sistema putiniano. Continua a esserci poca chiarezza nella dinamica della vicenda, da chi sia venuto l’ordine di procedere all’azione e quali possibili vantaggi si volessero ottenere da essa, anche perché proprio l’atterraggio d’emergenza a Omsk, le prime cure dei medici nell’ospedale siberiano e il trasferimento a Berlino hanno permesso di salvare Navalny. Si aprono interrogativi pesanti sul funzionamento e il controllo dell’apparato di sicurezza russo, e su come questi fattori incidano nella transizione e quali effetti possano avere. La telefonata del blogger a uno dei suoi presunti avvelenatori ha avuto come primo effetto immediato il moltiplicarsi di meme e battute sull’efficienza dei siloviki, un segnale importante sull’autorevolezza di cui godono tali forze nel paese.
Nel tradizionale messaggio del 31 dicembre, il più lungo dell’epoca putiniana (6 minuti contro i soliti 4-5), il presidente ha definito il 2020 come un anno che ha avuto al suo interno le difficoltà e il peso di tanti anni messi insieme, con momenti dolorosi per tutti, dal punto di vista materiale e affettivo. Sembrerebbe quindi che Putin sia ben cosciente delle difficoltà della transizione, resta da capire come verranno affrontate in un anno, il 2021, in cui vi saranno le elezioni alla Duma e le incognite dei possibili sviluppi dell’epidemia, con la campagna di vaccinazione di massa appena iniziata, e il nuovo quadro delle relazioni internazionali che si determinerà nei prossimi mesi, con l’inizio della presidenza Biden e l’avanzamento della Cina a livello globale.
Riuscirà il Cremlino a adattarsi a uno scenario in costante movimento?