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Non solo Navalny, ecco cosa accadrà tra Occidente e Russia. Parla Morini

Di Nicolò Sorio

Il rapporto con gli Usa della presidenza Biden, la questione bielorussa e quanto sta emergendo in Ucraina fanno presupporre che il 2021 sarà un anno in cui i rapporti tra Occidente e Russia saranno ancora più conflittuali, indipendentemente da quello che rappresenta e farà Navalny. Conversazione con la professoressa Mara Morini, docente di Scienza politica dell’Università di Genova

L’avvelenamento e l’arresto successivo, due momenti cruciali della vicenda storica del leader dell’opposizione a Mosca, Alexei Navalny, per la concezione che l’Europa e in generale l’Occidente hanno della Russia, del suo presidente Vladimir Putin, del cerchio magico del potere che circonda lui e il Cremlino. Navalny è un simbolo complesso delle relazioni con Mosca e Formiche.net ha delineato cioè che è successo e i suoi contraccolpi interni e internazionali con la prof.ssa Mara Morini, docente di Politics of Eastern Europe e Scienza politica presso l’Università di Genova e autrice di un recente volume edito da il Mulino sull’evoluzione politica della Russia post-sovietica dal titolo “La Russia di Putin”.

Partiamo dai fatti di domenica scorsa: cosa è successo realmente e come possiamo interpretarlo

Domenica sera abbiamo assistito ad un episodio di cui anche lo stesso Navalny era consapevole: dopo il controllo del passaporto, alcuni agenti lo hanno trattenuto per un fermo amministrativo, dovuto al fatto che, nel 2014, era stato accusato, insieme al fratello, di aver rubato quasi 30 milioni di rubli a due aziende. La condanna iniziale a tre anni e mezzo di reclusione si era trasformata in nove anni e mezzo di libertà vigilata. Lo scorso agosto il presidente Putin gli aveva concesso l’espatrio in Germania per le cure nonostante la condanna, ma Navalny, si sarebbe dovuto presentare entro il 28 dicembre in Russia. Le autorità russe ritenevano, infatti, che dal 12 ottobre Navalny fosse già in buone condizioni fisiche per tornare nel territorio russo. Così non è stato. Da qui la decisione, in basse alla legislazione russa, di avviare un fermo amministrativo che, in base all’articolo 22 della Costituzione russa, non può superare le 48 ore senza una sentenza di un tribunale giudiziario, sentenza che abbiamo visto, è arrivata lunedì pomeriggio.

Navalny ha trascorso la notte nel commissariato di Chimki e gli è stata negata la possibilità di conferire con il suo avvocato in base alle normative anti-Covid. La sentenza, espressa dal giudice in 15 minuti, prevede la reclusione per un mese (fino al 15 febbraio). È da sottolineare, però, che Navalny, già a fine dicembre, aveva ricevuto un’altra notifica di accusa per aver rubato quasi 5 milioni di rubli (di contributi volontari dei cittadini russi) alla sua stessa fondazione anticorruzione. La prima sentenza di questa accusa ci sarà il 29 gennaio. È indubbio, quindi, che Navalny fosse consapevole di questa situazione ed abbia cercato di sfruttarla in chiave anti-putiniana attraverso la spettacolarizzazione dell’arresto nei social.

Inoltre, Navalny ha chiesto ai cittadini russi di reagire e di partecipare alla protesta per la sua incarcerazione il prossimo 23 gennaio. Infine, ha diffuso un video nei social che ha già raggiunto, in meno di 24 ore, quasi 19 milioni di visualizzazioni in cui accusa Putin di corruzione (tema molto sensibile per l’elettorato russo) tramite la quale si è costruito una “residenza estiva” di oltre 39.000 m2 in una località vicino a Soči. Tuttavia, la storia del “Palazzo di Putin” non è assolutamente nuova. Non è uno scoop di Navalny. Già nel 2011 un giornalista russo Lev Ivanov – che lavorava per il sito Svabodnaja Pressa (Stampa libera) – pubblicò un’inchiesta, basata sulle rivelazioni di un certo Sergej Kolešnikov, sulla tenuta dal costo di un miliardo del presidente Putin. Allora si parlò dell’attribuzione di questo palazzo ad una cooperativa Ozero i cui membri, oltre il presidente, ricoprono posti di rilievo nell’assetto di potere. È, quindi, evidente la strategia dell’astuto Navalny di destabilizzare, o quanto meno indebolire, la gestione di potere putiniana.

Quali potrebbero essere, realisticamente, le ricadute nel piano interno?

La pandemia e la situazione economica costituiscono le principali preoccupazioni del presidente Putin. È plausibile ritenere che le azioni di Navalny siano un elemento di disturbo, ma non fino al punto di minare pericolosamente l’assetto del potere. Diversi istituti di ricerca hanno rilevato che Navalny non piace al 50% degli intervistati, il 50% disapprova le sue azioni politiche, il 18% non ha mai sentito parlare di lui e il 40% non conosce l’episodio di avvelenamento. A ciò si aggiunga il fatto che Navalny non ha spazio nelle reti televisive statali e la televisione è ancora lo strumento mediatico che più influenza le decisioni degli elettori.

Navalny è un blogger, un influencer che sa abilmente utilizzare i social media tramite i quali riesce ad organizzare, molto velocemente, forme di mobilitazione, come in occasione delle proteste dopo le elezioni parlamentari del 2011. Probabilmente il suo obiettivo, a breve termine, sono le elezioni parlamentari del 21 settembre 2021: fare in modo di ridurre, o quanto meno di indebolire, la forza parlamentare del partito di potere Russia Unita. C’è chi sostiene, facendo un parallelo con il caso bielorusso, che potrebbe essere proprio Yulia, sua moglie, la protagonista della competizione elettorale del prossimo settembre. È chiaro che le leggi sugli “agenti stranieri”, sui social media, implementate in questi anni, rappresentano un ostacolo insormontabile per Navalny che dovrà necessariamente trovare alleati tra le fazioni che sostengono attualmente Putin.

La questione dell’agente straniero è, comunque, una tematica patriottica che ha ancora una presa notevole sull’elettorato russo e che può connotare negativamente l’immagine di Navalny. Inoltre, nelle elezioni parlamentari Putin non è coinvolto in prima persona. Sarà interessante vedere quanto l’azione di Navalny in questi mesi riuscirà a indebolire il partito Russia unita per poi arrivare, successivamente, alla presidenza putiniana.

Data anche la notorietà del “caso Navalny”, in Occidente soprattutto, quali potrebbero essere invece le conseguenze a livello internazionale

Sicuramente dietro al ritorno di Navalny in Russia c’è, innanzitutto, la volontà di non finire nell’oblio, nella irrilevanza politica, limitandosi a diffondere le sue inchieste nei social. Ha pianificato il suo ritorno, avvalendosi molto probabilmente di un aiuto nei vari paesi occidentali, in primis gli Usa che ha frequentato durante la sua formazione politica e ha avuto contatti con diverse autorità politiche e Ong straniere, anche durante il suo soggiorno berlinese. In sintonia con la “sindrome dell’accerchiamento” tra i suoi detrattori c’è chi sostiene che il suo rientro sia stato pianificato con le forze politiche occidentali per destabilizzare la politica interna della Russia.

Tuttavia Putin può utilizzare la questione dell’ingerenza straniera per convincere il proprio elettorato che le forze occidentali, di cui Navalny è considerato uno strumento, mirano a indebolire il Paese che Putin stesso è riuscito a trasformare in una grande potenza – dopo l’umiliazione degli anni Novanta – un attore politico internazionale molto importante e una indiscussa potenza regionale, come abbiamo visto nel Medio Oriente. Ma a livello internazionale vi sono molte delicate questioni che Putin deve affrontare. Il rapporto con gli Usa della presidenza Biden, la questione bielorussa e quanto sta emergendo in Ucraina fanno presupporre che il 2021 sarà un anno in cui i rapporti tra Occidente e Russia saranno ancora più conflittuali, indipendentemente da quello che rappresenta e farà Navalny.

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