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Perché “Sanpa” parla di noi: qui e ora. Il commento di Buoncristiani

La docuserie di Netflix ruota intorno ad un dilemma: chi era davvero Vincenzo Muccioli? Un santo o un criminale? Ma affronta un tema di grande attualità: quanto costa il tentativo di fuga

La docuserie “Sanpa” in onda su Netflix racconta una storia di 30 anni fa. Eppure, affronta un tema di grande attualità: quanto costa il tentativo della “fuga in paradiso”, cioè la (apparente) soluzione tossica ai problemi che la vita pone a ciascuno di noi. Anche oggi, anzi proprio ora.

Il tema della dipendenza è al centro delle cinque puntate. Non c’è solo l’eroina, c’è anche la dipendenza psicologica che la sostituisce: quella da un uomo eccezionalmente carismatico. Vincenzo Muccioli diventa la nuova droga per questi ragazzi, in nome della quale si può smettere di bucarsi, ma si può rischiare di non vedere il limite di quello che è giusto o non è giusto.
Se c’è un passaggio da bambino ad adulto, sta tutto nel momento in cui smettiamo di credere nell’onnipotenza materna – la prima onnipotenza che ognuno ha vissuto.

Faccio un passo indietro. Ci sono bambini che hanno paura del buio e altri che sono presi dall’angoscia pensando ai mostri. Io avevo paura di diventare “drogata”. A sette anni vidi al telegiornale una ragazza che si bucava. Dopo essersi fatta, aveva un’espressione beata. E poi si spegnava. Buio. Sono abbastanza sicura che la mia fobia della droga derivasse da quella “soluzione” illusoria – certo abbinata alle storie che avevo sentito su come si finiva se “entravi nel tunnel”.

Eppure il tunnel è fatto di sensazioni che i tossici descrivono come estremamente piacevoli. Piacevoli in una maniera non di questo mondo. Qualcosa di simile a un ritorno alla perfezione di quando eravamo un tutt’uno con chi ci ha dato la vita forse? La psicoanalisi ha saputo dare varie definizioni a quello stato di beatitudine: ritorno a uno stato di totalità e onnipotenza che si prova nell’utero materno, com  stato di fusione con l’oggetto fonte di calore, piacere e “amore”.

Dunque la dipendenza da una sostanza potrebbe essere il tentativo di risolvere grazie a una “scorciatoia” la nostra dipendenza infantile: chi è più sprovveduto di un feto? Chi è più dipendente di un neonato? La “scorciatoia” consiste nel credere di dominare la sostanza, ovviamente, che invece domina te.

Ma torniamo a “Sanpa”. Per tutti i ragazzi a San Patrignano Muccioli è stato una figura di genitoriale onnipotente. In tanti lo hanno definito “santone”. In realtà era soprattutto un uomo affetto da disturbo narcisistico: in un primo momento è stato in grado di suggestionare non solo la sua comunità ma il nostro intero Paese, per poi cadere rovinosamente in disgrazia. Era diventato il capo di uno Stato totalitario in miniatura, un pater familias apparentemente buono e generoso, purtroppo anche pieno di vizi e di segreti (i reparti speciali di San Patrignano certo, ma anche i cavalli, le valigie piene di soldi, l’omosessualità).

Il modo in cui la sua figura passa dalla luce all’ombra ha in parte a che vedere con la storia italiana, ma forse di più con la storia delle storie: la storia di ognuno di noi mentre cerca di uscire da una scorciatoia così in fretta da imboccarne un’altra. La seconda scorciatoia consiste nell’assenza di limiti. Muccioli diceva di fare quello che i tossici gli chiedevano. Erano loro a pregarlo di non farli uscire. Ma se delle persone si affidano completamente a te, dovresti per prima cosa fissare dei limiti al tuo potere d’azione: se non lo fai, rischi di travolgerli e dominarli, privandoli della capacità di esistere da soli. Quanto male puoi fare in nome del bene? La serie ruota proprio intorno a questo dilemma: chi era davvero Vincenzo Muccioli? Un santo o un criminale? C’è un altro dilemma dietro l’angolo che è forse la spiegazione del successo di “Sanpa”: come esseri umani adulti, ci siamo detti che c’è un limite oltre il quale non possiamo andare? Abbiamo smesso di affidarci a rimedi magici, a “salvatori” e superuomini? Abbiamo smesso di arrabbiarci con qualcun altro (lo Stato, la politica, il nostro Capo, la nostra Fede) se la vita va come può andare?

In fondo, “Sanpa” racconta la storia di ciascuno di noi. Una storia di paure e di dipendenze, oggi amplificate nelle incertezze della pandemia. Forse anche per questo “Sanpa” ha molto successo.

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