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Il tempo dei costruttori, i popolari e la scintilla del futuro. La riflessione di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Il tempo dei costruttori rende necessario un campo da gioco nuovo e coraggioso, anche quello per sanare un errore, quello dell’abbandono del Ppe da parte dei popolari italiani. Bisogna tornare a casa, distinti e distanti dalla destra cristianista e dalla sinistra radicale, consci dell’originalità dell’elaborazione italiana che può tornare ad essere influente tra tutti i popolari europei. Il commento di Giancarlo Chiapello, politico e saggista, tra i fondatori nel 2004 e segretario organizzativo nazionale del movimento laico di ispirazione cristiana “Italia Popolare”

Il 3 gennaio 1892 nasceva J.R.R. Tolkien e di fronte alla evidente crisi politica italiana di queste settimane, vengono in mente, per provare a fare un’analisi dell’attualità, le parole della poesia di Bilbo Baggins su Aragon contenuta nella sua saga del “Signore degli Anelli”: “Non tutto quel ch’è oro brilla, /né gli erranti sono perduti; /il vecchio ch’è forte non s’aggrinza, /le radici profonde non gelano. /Dalle ceneri rinascerà un fuoco, / l’ombra sprigionerà una scintilla …”.

Al di là delle speranze di singoli leaders o di mantenere la posizione ad oltranza – la presidenza del consiglio o la mera e/o fittizia unità di partiti e movimenti – o di conquistarne delle nuove – la segreteria generale della Nato? – o incamerare quanto i sondaggi sembrano attribuire – parte dell’opposizione – appare più interessante un ragionamento di sistema, ossia di strategia piuttosto che di tattica che, pur essendo una componente della politica, è oggi diventata tatticismo contribuendo ai politicismi che, retti da marketing e uso spregiudicato dei social, non appaiono in grado di rispondere alla sfida contenuta nel discorso di fine anno del Presidente della Repubblica: “Ora dobbiamo preparare il futuro, non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori”.

Punto di partenza è ciò che brilla ma non è oro, cioè il sistema politico così come venutosi a delineare durante il quarto di secolo della sedicente “seconda repubblica”: la crisi innescata dalla pandemia ne ha dimostrato tutta l’inconsistenza che può essere variamente considerata. È, però, più urgente comprendere l’importanza di una scelta: se tale sistema è fallito perché non ha dato buona prova di sé con il suo bipolarismo dell’odio, con il leaderismo estremo, un moralismo limaccioso, la contrapposizione ideologica dei populismi di destra e sinistra, l’uno conservatore/sovranista, l’altro progressista/radicale, l’antipolitica senza costrutto, come si può costruire il tempo dei costruttori senza ripensare il sistema?

Gli erranti della politica italiana sono perduti senza riferimenti? Sembra di no se si torna a rifarsi a due elementi fondamentali: il primo è la carta costituzionale, ritornando al suo impianto istituzionale, che, tra l’altro, non prevede una sorta di repubblica di consulenti, tenendo ben a mente che le riforme fatte durante gli ultimi due decenni, dal titolo quinto, all’ultima con la riduzione della rappresentanza parlamentare e dunque popolare – senza considerare quanto fatto attraverso legge ordinaria, da quelle elettorali sempre peggiori a quelle dell’abolizione delle province con organi eletti dai cittadini e dell’impoverito in competenze ed eletti delle assemblee elettive delle autonomie locali. Il secondo elemento è il sistema politico europeo caratterizzato dalle famiglie politiche, popolari, socialisti, liberali, verdi, conservatori, ecc…, che aiuterebbe a ritrovare le identità e l’elemento mancante alla dimensione italiana, ossia il pensiero senza il quale diventa quasi scontato l’abbandono ai tatticismi autocentrati dei capi di turno.

Il sistema è vecchio ma, a differenza di quello nazionale, non s’aggrinza ma sembra riuscire a stare al passo dei tempi: in particolare è oggi tempo di ricostruire la presenza dei popolari italiani nell’alveo del Partito popolare
europeo che può accompagnare una grande novità del bel Paese, cioè la ricostruzione del centro mancante ed equilibratore dove le radici del popolarismo, imperniato nell’idea della democrazia cristiana, non sono gelate ma esistono vitali sui territori e anche tra i cattolici dove possono risanare la nefasta frattura tra “cattolici del sociale” e “cattolici della morale” che, essendo congeniale al fallimento dell’ultimo quarto di secolo, non può che essere sanata, senza negare che un cattolico può essere individualmente presente in tradizioni diverse (costretto se coerente, però, a fare l’obiettore di coscienza).

Questo significa pure che non è possibile che lo spazio popolare sia occupato per trasformismo da chi esprime una visione divergente da un pensiero che ha nella dottrina sociale della Chiesa un suo imprescindibile cardine e che ne è stato avverso (c’è chi storicamente sventolava cappi contro i democristiani!). Dalle ceneri di organizzazioni passate non serve recuperare una nostalgia, ma, proprio mettendoci nello schema europeo, dalla storia e da una identità si ritrova ancora il fuoco di un pensiero che può appassionare i giovani e che può contribuire a recuperare il ruolo dell’Italia che va visto e ricostruito dalla prospettiva di Bruxelles piuttosto che romana dove si rischia di impantanarsi tra vecchie incrostazioni, cariatidi, odi, piccole aspirazioni.

Il tempo dei costruttori rende necessario un campo da gioco nuovo e coraggioso, anche quello per sanare un errore, quello dell’abbandono del Ppe da parte dei popolari italiani, oggi bisogna tornare a casa, distinti e distanti dalla destra cristianista e dalla sinistra radicale, consci dell’originalità dell’elaborazione italiana che può tornare ad essere influente tra tutti i popolari europei, recuperando l’imprescindibile autonomia, la forza programmatica del valore della libertà, riprendendo in mano il proprio destino. I popolari non possono continuare ad essere figli di un Dio minore perché mancherebbero al dovere di aiutare l’Italia.

Dall’ombra della crisi si può sprigionare la scintilla del futuro: il gonfalone simbolo delle autonomie locali, segno di un popolarismo con i piedi nei territori e la testa nella comune casa Europa dei padri fondatori, va idealmente sventolato per promuovere questa novità che riconduce alla possibile soluzione della crisi per mezzo di un governo di tregua capace di sussumere le migliori tradizioni politiche con respiro europeo, insomma il governo dei costruttori per riconsegnare poi ogni scelta, con regole ridefinite nella nuova cornice, a cittadini non più meri notai.

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