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La minaccia è vera. Perché Fbi e Silicon Valley parlano all’unisono

Il caso di Capitol Hill insegna che c’è massima collaborazione istituzionale negli Stati Uniti. Le ultime mosse dei colossi della Silicon Valley trovano riscontri negli avvertimenti di Fbi e dipartimento di Giustizia sulla possibilità di nuovi scontri in vista del giuramento di Biden

Joe Biden ha detto che non teme di giurare come nuovo presidente degli Stati Uniti all’aperto sul fronte occidentale di Capitol Hill mercoledì prossimo, il 20 gennaio. Il commento arriva dopo l’allerta dell’Fbi, che ha consigliato di spostare la cerimonia all’interno del Parlamento per motivi di sicurezza temendo nuove proteste dopo quelle delle scorsa settimana. I movimenti di estrema destra negli Stati Uniti non desistono e “stanno organizzando proteste armate in tutte le cinquanta città-capitali degli Stati Uniti in vista della cerimonia di insediamento del presidente eletto Joe Biden in programma il prossimo 20 gennaio”, scrive la CNN citando una nota interna al Bureau.

ISTITUZIONI E SILICON VALLEY

L’Fbi (tra l’altro guidata da Christopher Wray, scelto da Trump nel 2017), il dipartimento della Giustizia (capitanato dall’attorney general Jeffrey Rosen, anch’egli di nomina trumpiana, che ha preso l’interim dopo il passo indietro di William Barr), i grandi media americani e la Silicon Valley lavorano assieme: il possibile attacco con cui i social hanno giustificato il blocco del presidente uscente Donald Trump trova conferme nelle mosse delle istituzioni. Il che dimostra come la straordinarietà di quanto accaduto a Capitol Hill la scorsa settimana abbia rafforzato la collaborazione delle istituzioni e del sistema di checks and balances degli Stati Uniti.

QUI TWITTER

Twitter ha chiuso “oltre 70.000 account” legati alla teoria cospirazionista di estrema destra QAnon: la decisione nasce proprio in seguito all’attacco contro Capitol Hill da parte di un gruppo di sostenitori del presidente Donald Trump (il cui account Twitter è stato bloccato in maniera permanente mentre il ban da Facebook durerà fino all’inaugurazione del suo successore). Alla luce “dei violenti eventi di Washington DC e dell’accresciuto rischio di pericolo, venerdì pomeriggio abbiamo cominciato a sospendere in modo permanente migliaia di account dedicati soprattutto alla condivisione di contenuti QAnon”, ha reso noto Twitter. “Da venerdì oltre 70.000 account sono stati sospesi come risultato dei nostri sforzi, con molti casi di numerosi account gestiti da un singolo individuo”. Ma non è l’unica mossa delle Big Tech: Amazon ha chiuso i servizi di hosting web della piattaforma Parler, subito dopo che Apple e Google l’avevano rimossa dalle loro applicazioni. Inoltre, Amazon sta lavorando per rimuovere i prodotti QAnon dal suo mercato online, citando politiche che vietano articoli offensivi o altri contenuti inappropriati.

QUI FACEBOOK

Facebook ha bloccato tutti i contenuti che contengono lo slogan di Donald Trump “Stop the steal” (“Fermate il furto”) che gli assalitori a Capitol Hill intonavano lo scorso 6 gennaio. Inoltre, Facebook ha ricordato di aver già bloccato due mesi fa il gruppo “Stop the Steal”, che aveva oltre 300.000 follower e divulgava disinformazione.

QUI PAYPAL E ALTRE

Stessa direzione intrapresa da PayPal, che ha bloccato la piattaforma di raccolta fondi GiveSendGo perché stava mettendo insieme donazioni a beneficio delle proteste di Washington. Molte aziende tra cui come AT&T, American Express e Dow Inc hanno invece annunciato la loro intenzione di tagliare i finanziamenti agli esponenti repubblicani che hanno votato al Congresso per ribaltare la vittoria di Biden.

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