A dicembre la Commissione europea ha presentato una nuova agenda antiterrorismo per l’Ue nella quale è previsto l’enforcement del mandato di Europol. Bene, ma non basta. L’analisi di Rick Hotchner (ex Cia) e Davide Maniscalco
La recente ondata di attacchi sul suolo europeo è servita a ricordare che il fenomeno terroristico rimane una minaccia reale, concreta e attuale. La natura sempre più transnazionale delle reti terroristiche richiede dunque un approccio consapevole, collettivo e partecipato. E infatti, una delle principali sfide globali di questo secolo è quella di assicurare alle popolazioni l’effettività di un diritto a sentirsi “al sicuro” in ambienti reali, domestici o nell’esistenza virtuale attraverso il web. D’altra parte, la minaccia jihadista o ispirata da Daesh, piuttosto che al-Qaeda e dai loro affiliati è a tutt’oggi persistente. Parimenti concreta e reale è d’altronde anche la minaccia di violenti estremisti di destra e di sinistra, fenomeno questo in tendenziale aumento.
Per queste ragioni, lo scorso dicembre la Commissione europea ha presentato una nuova agenda antiterrorismo per l’Unione europea, la “EU Security Union Strategy on Counter-terrorism”, nella quale è stato tra l’altro previsto l’enforcement del mandato di Europol. La prima relazione sui progressi compiuti nell’ambito della strategia dell’Unione della sicurezza evidenzia anche come, basandosi sul lavoro svolto negli ultimi anni, l’agenda antiterrorismo sia preordinata a sostenere gli Stati membri nell’anticipare, prevenire, proteggere e rispondere meglio alla minaccia terroristica, attraverso l’elaborazione di una strategia basata su quattro pilastri insieme al sostegno fondamentale della rete di esperti in counter-terrorism e security nelle delegazioni dell’Unione europea per facilitare la cooperazione e promuovere lo sviluppo di skill. In tale nuovo scenario strategico, Europol fornirà un migliore sostegno, più efficacemente operative, alle indagini degli Stati membri nell’ambito del rafforzato mandato proposto dalla Commissione europea.
La relazione sullo stato di avanzamento della strategia per l’Unione della sicurezza comprende anche un’ampia gamma di relazioni sulla politica di sicurezza, come le competenze e le questioni di sensibilizzazione o l’istruzione, seguendo il concetto cosiddetto whole-of-society. Come ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, “ogni persona nella nostra Unione ha il diritto di sentirsi al sicuro nelle proprie strade e in casa propria. Non possiamo lasciare nulla di intentato quando si tratta di proteggere i nostri cittadini. Dobbiamo migliorare la cooperazione transfrontaliera per colmare le lacune nella lotta alla criminalità grave e al terrorismo in Europa”.
In questo scenario, il nuovo approccio antiterrorismo mira a combattere dunque il fenomeno terroristico coinvolgendo la società nel suo insieme: cittadini, comunità, gruppi religiosi, società civile, ricercatori, imprese e partner privati. Inoltre, l’Unione europea ha in animo di aumentare il proprio impegno con gli organi competenti delle Nazioni Unite come l’Ufficio antiterrorismo delle Nazioni Unite (Unoct) e con altre organizzazioni come l’Osce o il Consiglio d’Europa sulle tematiche legate al terrorismo. Strategico è anche l’impegno del Global Counterterrorism Forum e di altri partner strategici chiave come Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda, nonché la Coalizione globale contro Da’esh, al fine di condividere esperienze, promuovendo una più stretta cooperazione, anche con scambi sul ruolo di Internet e dei social media e potenziamento delle capacità di ricerca relative alla prevenzione.
A livello globale, la proposta di agenda individua insomma una strategia chiara e lungimirante che finalmente approccia il fenomeno terroristico in una direzione decisamente più strutturata, nella cornice di una piena responsabilizzare della società civile e delle comunità nello sviluppo, secondo un principio di “sussidiarietà”, di risposte pronte ed efficaci per affrontare gli individui vulnerabili e sostenere le società resilienti.
Considerazioni generali
In linea generale l’agenda antiterrorismo dell’Unione europea è un passo positivo. Fa un buon lavoro spiegando perché l’Unione europea deve aggiornare e rafforzare i suoi sforzi di lotta al terrorismo (Ct). Inoltre, l’agenda convince sul piano tecnico, in quanto cataloga un’ampia gamma di misure e capacità Ct e in che modo l’Unione europea e gli Stati membri possano sfruttarle nel modo più efficace a sostegno dei quattro pilastri dell’agenda. Esamina inoltre l’orizzonte delle potenziali modalità in cui il panorama del terrorismo possa evolversi.
Ciò che manca all’agenda è una dottrina strategica generale che colga la natura del terrorismo islamista in particolare, cosa significhi, come l’Europa caratterizza, assegna priorità e organizza i suoi sforzi per combatterlo e, in definitiva, sconfiggerlo. L’Europa continua a considerare il terrorismo e la lotta contro il terrorismo principalmente con un approccio di tipo giudiziario ed applicativo di normative di tipo prescrittivo e interdittivo.
La realtà è che l’avversario “terrorista” non si considera un criminale ma, piuttosto, un soldato in guerra e, come tale, agisce (in tale logica, Stati Uniti e Unione europea sono entrambi obiettivi dei terroristi e dei partner della Ct. In altre parole, gli Stati Uniti e l’Europa, così come altri partner nel mondo, sono uniti in questa lotta).
Piaccia o no, nella formulazione di una efficace strategia di lotta globale al terrorismo, sarebbe opportuno che l’Europa realizzasse che, se gli avversari terroristi credono di essere in guerra, allora significa che si è in guerra. Ciò non significa che si debba pensare esclusivamente o anche principalmente in termini di risposte militari e/o cinetiche al problema. In effetti, non è quello che si dovrebbe fare. Significa semplicemente che dobbiamo ricordare che siamo in un conflitto globale con il terrorismo islamista, quando si va a definire la nostra dottrina strategica e si declina cosa significhi e come si debba utilizzare la gamma di misure Ct e altri strumenti di governo disponibili.
Il modo in cui pensiamo alla dottrina è influenzato dal lavoro del generale prussiano del XIX secolo, Carl von Clausewitz, e quindi riflette concetti che si potrebbero usare in queste circostanze. A tale riguardo, definiremmo la (nostra) posizione contro il terrorismo come una difesa strategica. Non abbiamo scelto questa lotta; piuttosto, stiamo cercando di impedire ai gruppi terroristici islamici di attaccarci. Detto questo, se vogliamo vivere in società democratiche aperte, libere e tolleranti, non possiamo limitarci a misure difensive a livello tattico e operativo.
Di conseguenza, per avere una difesa strategica efficace, dobbiamo adottare misure sia difensive che offensive ed essere proattivi nel creare le condizioni per aumentare gli effetti di ciò che possiamo fare in difesa. Con ciò sullo sfondo, di seguito sono riportati alcuni commenti su aspetti specifici della nuova agenda Ct dell’Unione europea.
Sforzi contro l’ideologia
La parte in cui gli sforzi contro l’ideologia e la radicalizzazione sono una priorità dell’agenda è il suo punto di forza più importante. Come evidenziato in precedenza, uno sforzo offensivo ponderato e con risorse sufficienti per combattere l’ideologia islamista, da cui promana il terrorismo islamista, è la chiave per la vittoria finale. Quell’ideologia è il centro di gravità del nemico; finché persiste, questo conflitto non finirà mai. Questo perché, fino a quando i terroristi islamici potranno far leva sull’ideologia, non importa quanto compromettiamo le loro reti e interrompiamo la loro capacità di attaccarci, perché continueranno a ricostituirsi e risorgere, ogni volta che avranno tempo e spazio liberi dalla pressione del Ct. Di conseguenza, in termini dottrinali, combattere l’ideologia deve essere il nostro obiettivo strategico primario, con il quale tutti gli altri nostri sforzi di Ct devono essere allineati. In altre parole, qualunque siano gli obiettivi dei nostri altri sforzi di Ct, la nostra posizione generale — con rare, se non nessuna eccezione — deve essere quella di condurli in un modo che non metta a repentaglio l’obiettivo strategico primario di contrastare l’ideologia islamista.
Se agiamo in tale quadro, poiché le nostre misure tattiche e operative continuano ad avere successo nel denigrare le reti terroristiche e interrompere la loro capacità di attaccarci, la capacità del nemico di motivare gli aderenti esistenti e sostituire quelli che rimuoviamo dal “campo di battaglia” con nuove reclute svanirà col tempo. In altre parole, dobbiamo capire che l’effetto strategico dei nostri sforzi tattici e operativi è farci guadagnare tempo per combattere la battaglia ideologica.
Questi sforzi da soli non ci consentiranno di vincere; piuttosto, ci daranno l’opportunità di ridurre al minimo gli effetti del terrorismo, consentendoci nel contempo di prendere l’iniziativa e perseguire la vittoria strategica. Per quanto buona sia la trattazione di questo problema da parte dell’agenda, non è sufficiente. Si è concentrato sull’ideologia terroristica, ma non ha parlato direttamente dell’ideologia islamista, né della sua centralità nel conflitto con i gruppi terroristici islamici.
Allo stesso modo, non ha identificato il contrasto all’ideologia islamista come preminente tra i nostri sforzi di Ct. Invero, l’agenda fa solo indiretto riferimento all’ideologia islamista e inserisce gli sforzi di radicalizzazione e contro-radicalizzazione in un contesto europeo. Ha comunque fatto un ottimo lavoro nello stabilire le basi dei valori europei, inclusa soprattutto, la tolleranza, su cui la controideologia deve proseguire gli sforzi. Prima di poter combattere l’ideologia del nemico, dobbiamo sapere ciò per cui difendiamo. Andando avanti su questa premessa logica, la distinzione che deve essere fatta — per scopi anti-ideologici, nonché per determinare con chi collaborare e a chi deve essere mirato il coinvolgimento — non è tra islamisti violenti e non violenti, ma piuttosto tra musulmani tolleranti e intolleranti. È fondamentale capire che i musulmani tolleranti, non gli islamisti non violenti, sono i nostri partner naturali in questa lotta. I musulmani tolleranti, che hanno sofferto più di ogni altro gruppo demografico a causa del terrorismo islamista, devono essere abilitati e autorizzati a prendere l’iniziativa in questa battaglia ideologica all’interno della Ummah e loro davvero devono vincere. Mentre gli islamisti non violenti e altri musulmani intolleranti continueranno a godere dei diritti della libertà di parola, i loro messaggi devono essere sfidati in modo aggressivo e senza eccezioni. In risposta alle inevitabili e false accuse di islamofobia, le autorità e la società civile dovranno andare avanti e non lasciarsi intimorire.
In tal modo, dovranno stare attenti a fare una distinzione tra islamismo e islam; spiegare perché questo è importante in generale e per i musulmani tolleranti più di chiunque altro; e per sottolineare i valori europei che sono alla base dei messaggi contro l’ideologia e il modo in cui avvantaggiano i musulmani tolleranti.Detto questo, più i musulmani tolleranti parlano, più forti saranno gli effetti del messaggio, poiché i membri della Ummah saranno generalmente e naturalmente più ricettivi all’ascolto di messaggi da altri musulmani che da non musulmani. A questo proposito, ci sono buone notizie: vi sono innumerevoli musulmani tolleranti e anti-islamisti, che si stanno già esprimendo con coraggio e i cui messaggi l’Unione europea e gli Stati membri potrebbero amplificare con risorse ed altre forme di sostegno.
Rafforzare il quadro giuridico/giudiziario
Un altro punto di forza dell’agenda è la sua attenzione al modo in cui l’Unione europea e gli Stati membri possono rafforzare la condivisione delle informazioni, accelerare i rispettivi sforzi nazionali in modo più efficace e facilitare il successo dei procedimenti penali.
Detto questo, sarebbe stato meglio che il piano includesse anche una visione su come gli Stati membri possono aggiornare le loro leggi nazionali per facilitare i procedimenti giudiziari, trattenere i presunti terroristi per periodi di tempo più lunghi in custodia cautelare prima di incriminarli, consentire anche pene più severe per mantenere coloro che sono perseguiti con successo in custodia per periodi di tempo più lunghi, facilitando così gli sforzi delle forze di polizia e delle agenzie di intelligence per raccogliere informazioni che consentono di sradicare le reti terroristiche e interromperne la loro capacità di attacco. Tali riforme creerebbero condizioni di maggiore e più efficace contrasto per i gruppi terroristici e sarebbero quindi vantaggiose per le autorità di Ct che, in genere, hanno molto più lavoro da compiere di quanto le loro risorse possano coprire.
In effetti, numerosi attacchi in Europa dall’11 settembre sono stati effettuati da terroristi che erano sul radar delle autorità, ma non sufficientemente monitorati a causa di notevoli vincoli legali, burocratici e risorse che non erano commisurate alla portata del problema, oltre che alla gravità della minaccia.
Altre considerazioni
L’agenda include un paio di altre modalità importanti con cui l’Unione europea e i suoi Stati membri possono prendere l’iniziativa, piuttosto che limitarsi a giocare in difesa. Primo: migliorare la sicurezza delle frontiere esterne e il monitoraggio dei movimenti interni tra gli Stati membri. Secondo: in modo proattivo, sviluppare e far leva su una solida cooperazione con partner non Ue.
Infine, è auspicabile che l’Unione europea e gli Stati membri aumentino gli impegni di bilancio e di risorse per consentire alle forze di polizia e ai servizi di sicurezza e di intelligence di combattere proattivamente le reti terroristiche per interromperne le loro capacità di attacco.
Davide Maniscalco, Head of Public Affairs a Swascan – Tinexta Group, avvocato e security manager, lavora con Studebaker Defense Intelligence
Rick Hotchner, ex funzionario della Cia, già vicedirettore delle operazioni del Counter Terrorism Mission Center