Skip to main content

Tik Tok, bene l’Authority, ma si muovano governi e Ue. Il commento di Giuliani

Il caso di Tik Tok, non è il primo né sarà l’ultimo, è particolare, in quanto la ragion d’essere di questo social è legata in buona misura a giovani e giovanissimi. Un dato è certo: non possiamo alzare le mani e affidarci solo ad un’autoregolamentazione, per sua stessa natura parziale e sostanzialmente inaffidabile

Non si può che applaudire all’iniziativa del Garante della privacy, che ha di fatto bloccato TikTok sul territorio nazionale italiano, imponendo al social di controllare (sul serio) l’età dei propri iscritti. Un tentativo, nei limiti delle possibilità di azione dell’Authority, di porre un argine a un fenomeno dalle ricadute incalcolabili.

L’assurda tragedia di Palermo è una storia che si fa fatica a commentare. Leggerne i particolari è un colpo al cuore, ma bisogna costringersi a non voltare la faccia dall’altra parte. Alcune considerazioni si impongono a tutti noi, partendo da una premessa: chi scrive, non si permetterebbe mai di parlare dei genitori della ragazzina che ha perso la vita per un assurdo gioco online. È semplicemente impossibile anche solo immaginare cosa si provi e l’enormità di un simile dolore.

Sentiamo l’obbligo di alzarci in piedi e toglierci il cappello, innanzitutto, davanti alla decisione di donare gli organi della loro piccola. Un gesto che contribuirà a salvare quattro vite, un atto di altruismo e generosità estrema che merita la nostra più profonda deferenza.

Non parleremo, dunque, di una mamma e di un papà devastati, ma abbiamo il dovere morale e civico di parlare alle famiglie in generale. Nella nostra era, semplicemente è inconcepibile non diciamo il diritto dei genitori, ma neppure l’opportunità di dichiararsi incompetenti in determinate materie. A cominciare dall’educazione all’uso della rete e dei social network. Si tratta di un preciso dovere genitoriale, considerato che nella stragrande maggioranza dei casi sono proprio mamma e papà a dare il non sempre edificante esempio ai propri figli.

Una vasta azione di sensibilizzazione ed educazione familiare è necessaria, ma non potrà che passare da un’opera di moral suasion nei confronti degli adulti. La verità, dolorosa, è che in materia non esistono manuali. Del resto, non è mai stata redatta la guida del bravo genitore. Si è destinati sempre a improvvisare, almeno in parte.

Se torniamo, ora, all’azione intrapresa dal Garante della privacy, la sia pur lodevolissima iniziativa non potrà mai essere di per sé sufficiente. L’Authority ha sancito, nei fatti, un punto essenziale: i social network devono essere considerati responsabili dei contenuti ospitati. A maggior ragione in caso di coinvolgimento di minorenni.
Così come appare il minimo sindacale rivedere un’età minima di iscrizione ai social, sulla falsariga di quanto deciso da alcuni di loro stessi. E farla rispettare.

Il caso di Tik Tok, non è il primo né sarà l’ultimo, è particolare, in quanto la ragion d’essere di questo social è legata in buona misura a giovani e giovanissimi. Un dato è certo: non possiamo alzare le mani e affidarci solo ad un’autoregolamentazione, per sua stessa natura parziale e sostanzialmente inaffidabile.

Il garante della privacy ha messo un punto fermo, ma ha implicitamente richiamato il governo alla sua responsabilità. Come scritto anche su queste stesse colonne, in occasione della vicenda Twitter-Trump, restiamo fermamente convinti che i singoli governi non possano far sostanzialmente nulla contro le Big Tech, che ormai hanno preso l’abitudine di muoversi e rapportarsi come dei veri e propri Stati sovrani.

Quello che ciascun esecutivo dell’Unione Europea – cominciamo da noi, il resto del mondo seguirà, se vorrà – dovrebbe considerare un obbligo morale è lavorare da subito per spingere la Commissione Europea ad accelerare la propria azione nei confronti delle Big Tech. Dopo un episodio come quello di Palermo, che ha profondamente scosso l’opinione pubblica, il primo governo a muoversi dovrebbe essere il nostro, se non fosse totalmente assorbito dalla ricerca di ‘costruttori’, ‘responsabili’, ‘volenterosi’, etc..

È un’altra gamba del tavolo di confronto, che va costruito con la realtà online. Come il diritto alla libertà di parola non può essere certo regolamentato da soggetti privati, così la nostra sicurezza, ancor più quella dei nostri figli, non può essere demandata alla buona volontà, ma più spesso alla convenienza economica di una singola azienda. È semplicemente inaccettabile.

Ancora un plauso all’Autorità garante della privacy, per aver provato a porre un freno e aver costretto il Paese a guardare in faccia il problema. Sia chiaro, però: non basta.



×

Iscriviti alla newsletter