A pochi passi dall’insediamento di Joe Biden, un nuovo polverone su Donald Trump. Una telefonata del presidente al governatore repubblicano della Georgia Raffensperger in cui chiede di trovare i voti mancanti all’Elefantino finisce nell’occhio del ciclone. Analisi e reazioni nel commento di Giampiero Gramaglia
Con una mossa inedita, probabilmente illegale, forse incostituzionale, Donald Trump ha chiesto al segretario di Stato della Georgia, il repubblicano Brad Raffensperger, di “trovare” abbastanza voti per ribaltare la vittoria di Joe Biden. Il Washington Post ha ottenuto e ha pubblicato la registrazione d’una telefonata lunga circa un’ora, nella quale il presidente alterna rimproveri, lusinghe, preghiere e minacce di vaghe conseguenze nel caso Raffensperger rifiuti di dare seguito alle sue accuse, non documentate, di brogli, ammonendolo ad un certo punto che si sta assumendo “un grande rischio”.
La telefonata, che sarebbe di sabato 2 gennaio, pone questioni di carattere legale e costituzionale, secondo gli esperti consultati dal Washington Post, dal New York Times e da altri media.
Tra Trump e Joe Biden, è una sfida senza fine: oggi, i due si danno battaglia a distanza in Georgia, tenendo comizi la vigilia dei ballottaggi che domani decideranno la maggioranza in Senato.
Il magnate presidente sarà a Dalton per i senatori uscenti Kelly Loeffler e David Perdue – costretto alla quarantena; Biden ad Atlanta per i loro rivali Jon Ossoff e Raphael Warnock. E Trump mette le mani avanti, definendo a priori i ballottaggi “truccati” e “illegali”.
Si mobilita anche la vice-presidente eletta Kamala Harris, che domani volerà a Savannah: per lei e per Biden. è la seconda visita in Georgia, dove i voti espressi in anticipo sono oltre tre milioni.
Ma Trump, più che ai ballottaggi di domani, guarda alla sessione plenaria del Congresso che mercoledì dovrà ratificare la vittoria di Biden nelle presidenziali. Esaurite le istanze legali, gli resta la via d’un colpo di mano politico. Come dimostra la telefonata a Raffensperger.
Il suo vice Mike Pence, che finora pareva non appoggiare quanti mirano a non concedere la vittoria a Biden, sembra ora aprire all’iniziativa di un gruppo di senatori repubblicani che non vogliono certificarne l’elezione del presidente. Citato dalla Bbc, il capo di gabinetto di Pence Marc Short dice: “Pence accoglie con favore gli sforzi dei membri della Camera e del Senato di utilizzare l’autorità di cui legalmente dispongono per sollevare obiezioni e per presentare prove al Congresso e al popolo americano” e condivide “le preoccupazioni di milioni di americani su frodi e irregolarità nel voto”.
Spetterà proprio a Pence, in qualità di presidente del Senato, sovrintendere la plenaria del 6 gennaio e dichiarare vincitore Biden. Secondo la Bbc, infatti, l’iniziativa del gruppo di senatori repubblicani è destinata a fallire perché la maggior parte dei senatori avallerà la vittoria di Biden.
Il giorno successivo, invece, il parlamento si riunirà in sessione plenaria sotto la presidenza di Mike Pence per certificare il voto del collegio elettorale in una seduta che si prevede tempestosa: 12 senatori repubblicani, guidati dall’ex candidato presidenziale Ted Cruz, hanno annunciato che intendono contestare la vittoria di Joe Biden, a meno che il Congresso non nomini una commissione elettorale che riesamini in 10 giorni i risultati negli Stati più contesi, come successe nelle presidenziali del 1876.
Alla fine i singoli Stati dovrebbero valutare le conclusioni della commissione e convocare una sessione parlamentare speciale per certificare eventualmente il cambio del loro voto. Una iniziativa accolta con favore da Pence, che finora aveva deciso di non appoggiare le mosse per cambiare l’esito delle elezioni.
Sul piede di guerra, secondo la Cnn, anche 140 deputati del Grand Old Party. Si tratta della più grande ‘rivolta’ del genere in quasi un secolo e mezzo.
La manovra non ha alcuna chance di successo perché occorre il consenso di entrami i rami del parlamento per ribaltare il voto ma potrebbe ritardare sino a notte fonda la proclamazione della vittoria di Biden e complicare la sua missione di riconciliare il Paese. Nello stesso giorno, peraltro, Trump conta di portare sotto il Congresso migliaia di fan per una manifestazione di protesta ‘wild’, selvaggia.
La telefonata
Nonostante le pressioni fatte dal magnate presidente, Raffensperger e il suo staff hanno respinto le richieste, spiegandogli che i suoi dati sono sbagliati e che le sue affermazioni si basano su false teorie cospirative, che la vittoria di Biden in Georgia per 11.779 voti è giusta ed accurata. Trump ha contrattaccato: “I cittadini della Georgia sono arrabbiati, i cittadini del Paese sono arrabbiati … Non c’è niente di sbagliato nel dire che avete ricalcolato … Voglio solo trovare 11.789 voti … Perché abbiamo vinto lo Stato”.
Le reazioni
“Un insolente, sfrontato abuso di potere da parte del presidente degli Stati Uniti”: così Harris commenta dalla Georgia la telefonata di Trump. Dal campo democratico vengono reazioni sdegnate: “Il disprezzo di Trump per la democrazia è messo a nudo”, dice Adam Schiff, deputato e già presidente della Commissione Intelligence; la sua collega Debbie Wasserman Schultz vi vede il gesto di “un presidente disperato e corrotto”.
Preoccupazioni anche tra i repubblicani: “È insopportabile, non potete fare questo con la coscienza tranquilla”, twitta il deputato Adam Kinzinger chiedendo ai compagni di partito di non seguire Trump nella sua crociata.
“Molto peggio del Watergate”, dice alla Cnn l’ex giornalista del Washington Post Carl Bernstein, autore con Bob Woodward dell’inchiesta Watergate che portò alle dimissioni di Richard Nixon. Bernstein denuncia le complicità con le tendenze autoritarie del presidente dei leader repubblicani nel Congresso Mitch McConnell e Kevin McCarthy.
La cronaca
La democratica Nancy Pelosi è stata rieletta speaker della Camera con 216 voti contro 208 – una dozzina gli assenti -, nella prima seduta del Congresso eletto il 3 novembre. La Pelosi, 80 anni, è stata un’ostinata avversaria del presidente Trump.
Sul Washington Post, tutti i 10 ex capi del Pentagono viventi, compresi i due nominati e poi rimossi da Trump, Jim Mattis e Mark Esper, notano che il tempo per contestare i risultati elettorali è finito e che le forze armate non hanno alcun ruolo nel tentativo di cambiarli. La mossa nasce dai timori che Trump possa provare ad usare l’esercito per restare al potere, entrando “in un territorio pericoloso, illegale e incostituzionale”.
“Le nostre elezioni si sono tenute. Sono stati fatti riconteggi e controlli. Appropriati ricorsi legali sono stati esaminati dai tribunali. I governatori hanno certificato i risultati. Ed il collegio elettorale ha votato”, scrivono i dieci ex segretari alla Difesa. “Ora è arrivato il tempo per il conteggio formale dei voti del Collegio elettorale … Funzionari civili o militari che ordinino o eseguano misure” che ostacolino questo percorso “saranno responsabili delle gravi conseguenze dei loro atti”.
La pandemia
L’epidemia di coronavirus è sempre virulenta negli Stati Uniti, con oltre 277.000 contagi in un solo giorno. Nel Paese più colpito al mondo in cifre assolute, alla mezzanotte di ieri sulla East Coast, si contavano, secondo i dati della John’s Hopkins University, oltre 20.636.000 contagi e e quasi 351.600 decessi. Le vaccinazioni proseguono, ma a rilento rispetto agli annunci: 4,2 milioni le persone vaccinate, 13 milioni le dosi distribuite, mentre Trump prometteva 20 milioni di vaccinazioni entro il 2020.