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L’Italia, la democrazia e l’agenda dei cittadini. Lezioni americane

Di Pietro Paganini e Raffaello Morelli

La politica americana è soprattutto compromesso, intesa come la capacità di negoziare per trovare la sintesi tra i diversi interessi, bisogni, e le espressioni dei cittadini. Nel nostro Paese il confronto politico guarda invece agli interessi delle macchine organizzative dei partiti e della burocrazia. Le scaramucce esasperate di questi giorni ne sono la prova. Fino a quando potremo continuare a permettercelo? Il commento di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Gli Stati Uniti d’America hanno – certificato – un nuovo Presidente. Hanno soprattutto, aggiornato la composizione del Senato. Con un solo Senatore di scarto – rappresentato dal Vice Presidente Usa – il Senato ha una maggioranza democratica.

Questo vantaggio, nella cultura politica italiana, ben espressa dall’intellighenzia dei media, attribuirebbe al Partito Democratico la maggioranza e quindi la possibilità di promuovere l’Agenda democratica. In Italia infatti, l’agenda politica di un partito è stabilita da quel partito prescindere dai cittadini.  Non è così negli Stati Uniti; nella cultura politica americana l’agenda è quella dei cittadini che ogni rappresentante (si chiamano così negli Usa), è chiamato a promuovere.

La Democrazia funziona quando meglio rappresenta le aspettative e i bisogni dei cittadini. Così non è tanto significativo che il processo elettorale e democratico americano abbiamo espresso il nuovo Presidente, in modo trasparente; è invece, piuttosto importante che il Presidente rappresenti la pluralità degli orientamenti dei cittadini, anche di quelli che non lo hanno scelto o che addirittura non hanno votato. Lo stesso vale per i rappresentati eletti al Congresso (il Parlamento Usa).

Il sostanziale equilibrio al Senato dimostrerà che i rappresentanti eletti non compiono scelte politiche rispondendo agli interessi dei partiti. Essi rispondono prima di tutto ai cittadini.

Che la maggioranza possa essere democratica, per il voto del Vice Presidente (50 + 1) poco importa; infatti, tutti e 50 i Senatori democratici dovranno essere convinti a votare quanto la maggioranza democratica o il Presidente (e quindi la Casa Bianca, cioè il Governo), propongono. Ad essere convinti possono essere anche gli altri 50 di ispirazione conservatrice e repubblicana.

Negli Stati uniti non si vota per il Partito di appartenenza; si vota singolarmente sui singoli problemi, esprimendo si un orientamento di principio che riflette una cultura politica – appunto Democratica o Repubblicana – ma con l’obiettivo di rappresentare gli interessi dei cittadini del proprio collegio elettorale. Il concetto della rappresentanza è molto forte: si compiono scelte per i cittadini per cui si è stati demandati a rappresentare.

I partiti non esistono. Sono di fatto, comitati elettorali che raccolgono al loro interno sensibilità molto diverse che in alcuni casi, per esempio in collegi elettorali geograficamente e culturalmente distanti, si sovrappongono tra partiti. Un Democratico degli stati del Sud è più vicino ad un Repubblicano degli stati del Nord o della costa piuttosto che ad un Democratico di quelle stesse zone.

A seconda delle questioni, gli americani e i loro rappresentanti conseguentemente, si schierano su principi e sulla mentalità che meglio si ritrovano in un movimento politico o nell’altro. Perciò nella società americana è essenziale il ruolo svolto dal dibattere e dal confrontarsi, che sono il nocciolo del convivere tra cittadini quali individui diversi eccetto l’avere i medesimi diritti stabiliti dalla norma legale.

I partiti politici americani sono dinamici; non avendo una struttura organizzativa tradizionale come la intendiamo in Europa, lasciano spazio ad un confronto molto ampio tra idee e proposte molto diverse che esprimono i differenti interessi e bisogni dei cittadini.

Questo confronto è animato da individui e organizzazioni, fondazioni, think-tank, comitati, ecc. che elaborano, esprimono, e promuovono.

I partiti sono la sintesi elettorale di quanto viene elaborato e promosso dal basso.

I partiti hanno di fatto, un fine esclusivamente elettorale, cioè di rappresentanza di quanto le diverse sensibilità hanno prodotto attraverso il confronto pubblico.

Se le diverse sensibilità non venissero espresse e rappresentate, il meccanismo rappresentativo si bloccherebbe immediatamente. I rappresentanti quindi, sono eletti per rappresentare i cittadini prima che l’agenda di un partito, di un Presidente, o di chi che altro.

Di conseguenza è di una gravità senza pari l’azione in corso da parte dei social (a cominciare da Twitter, Facebook ma anche Apple) che, non condividendo gli sfoghi di Trump e dei suoi sostenitori, hanno bloccati i loro account od impedito le App per usarli tramite apposite piattaforme.

Tutto ciò per decisione di un piccolo gruppo di persone che di quei social sono i proprietari o i dirigenti. Il che vanifica il sistema  stesso del dibattito e del confronto democratico, che ormai, nonostante i loro navi limiti di assoluta carenza di uso dello spirito critico, è effettiva parte integrante della rete informativa e della discussione pubblica.

La politica americana è quindi, e soprattutto, compromesso, intesa come la capacità di negoziare per trovare la sintesi tra i diversi interessi, bisogni, e le espressioni dei cittadini.

Il nuovo Presidente dovrà infatti, con l’attuale risicato vantaggio al Senato, ma anche con un vantaggio indebolito alla Camera bassa, dare maggiore attenzione all’area più progressista e radicale di sinistra, ma anche rispondere a quei milioni di americani (cresciuti di milioni rispetto a 4 anni fa quando aveva vinto Trump) che hanno chiesto scelte più conservatrici.

Il nuovo Presidente dovrà quindi, con l’aiuto del Congresso, rispondere ai cittadini americani e a quella maggiore polarizzazione che esprimono da una parte  il Black Lives Matter e dall’altra i movimenti trumpiani.

Oltretutto le scelte di compromesso non possono essere al ribasso, ma devono riuscire a comprendere una fetta sempre più vasta di cittadini, quei “dimenticati” che hanno polarizzato l’America. Se così non fosse, e i compromessi premiassero solo la fascia più moderata, cioè il centro, allora i problemi che i “dimenticati” denunciano non saranno risolti ed esploderanno.

Esattamente quello che sta succedendo in Italia ed in Europa. Qui il confronto politico non è più sulle esigenze dei cittadini, ma agli interessi delle macchine organizzative dei partiti e della burocrazia. Anche per responsabilità dei mezzi di comunicazione, che invece di informare teatralizzano il dibattito secondo la convenienza della proprietà e con evidenti conflitti di interessi. In questo processo, i cittadini sono davvero dimenticati. Le scaramucce esasperate di questi giorni, ne sono la prova. Non si confrontano più le proposte per affrontare la pandemia o le difficoltà economiche. Fino a quando potremo continuare a permettercelo?

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