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Vi spieghiamo perché l’attacco alla democrazia Usa è fallito (e fallirà sempre)

Dopo il buio, una nuova alba per la democrazia Usa? Da dove può partire Joe Biden per allontanare lo spettro dell’assalto al Capitol e ricucire un Paese lacerato? Ecco cosa si è detto al dibattito di Formiche insieme al Centro Studi Americani con Roberto Sgalla, Giovanni Castellaneta, Nathalie Tocci, Maria Latella, Lorenzo Pregliasco e Giampiero Gramaglia

Dopo la notte più buia, ecco l’alba della democrazia, che infine ha la meglio. All’attacco terroristico al Campidoglio è seguita la reazione del Congresso e la conferma: Biden è il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Che America ci sarà dopo il 20 gennaio? E quale dovrà essere l’atteggiamento del nuovo presidente per rilanciare l’immagine degli Stati Uniti sullo scenario internazionale? Questi, tra gli altri, i temi affrontati nel corso del live talk di Formiche con il Centro studi americani.

IL PENSIERO COMPLESSO

“La riflessione centrale riguardo ai recenti avvenimenti americani – ha sottolineato Roberto Sgalla, direttore Centro studi americani – è se e quanto questi fatti possano provocare una crisi di affidabilità e di credibilità dell’America stessa e della democrazia americana in generale”. Le immagini di quello che è stato chiamato “l’assedio a Capitol Hill” hanno fatto il giro delle televisioni mondiali suscitando reazioni più o meno sgomente, e sicuramente gli eventi del 6 gennaio rischiano di avere conseguenze serie non soltanto nel panorama americano.

“Uno degli elementi che caratterizzano azioni del genere è, purtroppo, l’incapacità degli attori di ragionare in maniera coerente. Un’informazione corretta, la capacità di leggere i fatti in modo complesso sarebbe il primo passo per garantire alle persone una maggiore lucidità di giudizio” ha affermato Sgalla.

UN’AMERICA IRRICONOSCIBILE

L’America del del 6 gennaio scorso è un’altra America rispetto a quella del 2009, ha sottolineato Giovanni Castellaneta, già ambasciatore italiano a Washington, quando Barack Obama accompagnò l’ex presidente George W. Bush al suo elicottero. Che cosa è cambiato? Prima di tutto sono mutate le nostre strutture sociali e il nostro modo di comunicare. Ma rispetto a dieci anni fa la differenza, oltre che in ambito sociale, si evidenzia ugualmente in campo politico, come in quello tecnologico.

“La democrazia in America non è in pericolo, quella del 6 gennaio è stata un’insurrezione di estremisti che volevano violare un simbolo, entrare nella casa di tutti, la casa che rappresenta la Costituzione degli Stati Uniti” ha detto Castellaneta. Un atto reso più semplice dai social che hanno permesso a certi gruppi, sempre esistiti negli Usa, di essere più uniti dal deep web o dark web i quali garantiscono una circolazione di idee che permette a una minoranza come questa di poter apparire come un movimento politico.

Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto affari internazionali, ha ricordato che “questi avvenimenti possono essere letti come il culmine di un processo in corso da vari anni, che ha origini antiche, che potrebbe sancire la crisi irreversibile della democrazia Usa o piuttosto marcare un passo importante verso un nuovo inizio, un nuovo rilancio”.

IL RUOLO DEI MEDIA

Negli ultimi anni la società americana è apparsa sempre più divisa, i fatti degli scorsi giorni lo confermano. Rimetterla insieme è il compito del presidente Joe Biden con la sua vice Kamala Harris. Maria Latella, giornalista e componente del Centro studi americani, ha sottolineato come sia necessario fare una riflessione sia a livello mondiale che europeo. La giornalista ha evidenziato come il sistema educativo pubblico americano sia andato verso una problematica involuzione, come sia peggiorato rispetto a quello che era negli anni ’60, portando una parte della popolazione americana ad avere serie difficoltà ad esercitare una critica ponderata nei confronti del mondo circostante.

“Sono arrivati i social media e prima ancora i media. In questi anni si è parlato molto di Fox Tv e del ruolo, dell’influenza che la televisione di Murdoch ha avuto nella formazione di un pensiero estremista: su quella parte di popolazione che non ha avuto una formazione scolastica neanche paragonabile a quella europea l’influenza di una televisione molto aggressiva, che ha lavorato anche sulla rabbia, e dei social media che hanno contribuito in tal senso, ha prodotto probabilmente questa divisione profonda della società americana” ha rilevato Latella.

Gran parte dell’instabilità politica e sociale degli Stati Uniti, ha ricordato la giornalista, è dovuta al ruolo cruciale dei mass media e alla loro volontà di far leva su alcuni temi: “l’uscita dall’instabilità dipenderà dalle scelte economiche, ma anche dai messaggi che arriveranno dall’amministrazione e qui Kamala Harris avrà un ruolo importante da giocare, con l’arma del soft power, rivolgendosi alle giovani generazioni e alle donne, come un peso determinante lo avrà l’auto-critica dei media, social e non social. Perché non c’è dubbio che continuare a scherzare con il fuoco, con la rabbia che in tutti noi umani alberga, è una responsabilità che i media devono con onestà riconoscere”.

L’IPOTESI DEL 25° EMENDAMENTO

A seguito dell’irruzione a Capitol Hill e delle reazioni poco chiare di Donald Trump è iniziato il dibattito sulla possibilità di chiedere l’impeachment o di fare ricorso al 25esimo emendamento per i giorni che mancano alla fine della presidenza trumpiana.

Lorenzo Pregliasco, direttore YouTrend, ha spiegato come in questo momento si stia parlando del 25esimo emendamento in relazione al suo quarto comma che configura una possibilità inedita: non è infatti mai stato attivato contro la volontà del presidente. “Il comma prevede la possibilità, per il vicepresidente e la maggioranza dei ministri componenti del cabinet, di dichiarare, in casi eccezionali, la non idoneità del presidente. In tal caso, il potere passerebbe al vicepresidente, ma il presidente potrebbe obiettare e opporsi a questa dichiarazione. Verrebbe allora coinvolto il Congresso che dovrebbe confermare con la maggioranza dei due terzi l’eventuale attivazione dell’emendamento”.

Nei sondaggi di Yougov si rileva che tra la popolazione americana c’è una percezione diversa dei fatti accaduti e, secondo Pregliasco, questa è la conferma della frattura costante tra gli elettorati democratici e repubblicani. Da una parte, infatti, circa il 71% degli americani condanna i fatti di Capitol Hill, ma la percentuale scende al 20-21% tra i repubblicani. “Lo stesso sondaggio ci dice che di fronte all’ipotesi rimozione di Trump l’opinione pubblica è spaccata in due, con una lieve maggioranza favorevole alla sua destituzione nei pochi giorni residui del suo mandato”.

IL DIFFICILE COMPITO DI BIDEN

Da dove ripartirà il nuovo presidente americano per ricucire un paese diviso e incattivito? Il giornalista, Giampiero Gramaglia, ha ricordato che “Biden aveva chiara sin dall’inizio della sua campagna elettorale la priorità di sanare la polarizzazione americana che avrebbe ereditato vincendo le elezioni. In tutti i suoi discorsi da presidente eletto ha sempre sottolineato l’importanza prioritaria per lui e Kamala Harris di ritrovare e ricomporre l’unità della nazione per superare le divisioni”.

“Biden si sforzerà di ridurre il consenso intorno a Trump e di cercare di tornare ad una dialettica più tradizionale tra progressisti e conservatori, rivolgendosi a quei conservatori che hanno votato per Trump ma probabilmente sono inorriditi di fronte alle immagini del Congresso preso d’assalto. Potrà farlo con un’azione a lungo termine. Mi pare che alcuni repubblicani stiano già cercando di tendergli una mano o di provare a costruire un ponte di dialogo”.

Le proteste di Capitol Hill, secondo Gramaglia, hanno rappresentato il culmine di quel senso di disagio che i paesi alleati hanno provato nei confronti dell’America di Trump e insieme un rafforzamento delle attese e speranze che l’America di Biden cambi segno e torni ai modi e i toni che tradizionalmente erano attribuiti agli Usa.

“A sostenere Trump al Campidoglio c’era una base di facinorosi, razzisti, che si contava in centinaia, migliaia di persone. Non c’era l’America di un milione di neri di Martin Luther King o il milione di donne che marciò il giorno dopo l’insediamento di Obama. Anche questa è America, ma non la rappresenta tutta”.

Quali saranno le priorità di Biden una volta entrato nello Studio Ovale. Si partirà dai problemi di politica interna e gli equilibri al Congresso, secondo Giovanni Castellaneta. “Per ora credo che gli Stati Uniti cercheranno di fare il meno possibile in politica estera, pur rafforzando l’alleanza con l’Unione europea. Con la politica più equilibrata di Biden l’Europa avrà un importante ruolo di sostegno per il presidente aiutandolo a superare questi anni di deserto intellettuale che c’è stato e far riprendere agli Stati Uniti la sua corsa nella leadership del mondo”.


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