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Web (digital) tax, l’Italia eviti la fuga in avanti. Cerra spiega perché

Di Rosario Cerra

Andare avanti da soli espone a inevitabili “retaliation”. Sulla tassazione digitale meglio lavorare insieme fra partner Ue e Usa, senza remore ma neanche scatti in avanti. L’analisi di Rosario Cerra, presidente del Centro economia digitale

Il nodo della tassazione delle Big Tech che producono servizi digitali in economie aperte, in cui il capitale si muove liberamente tra i vari Paesi e in cui queste imprese possono con grande facilità fare scelte di localizzazione delle sedi che riducono drasticamente il loro onere fiscale, sta arrivando al pettine.

Questo avviene anche sotto la pressione della pandemia che ha accelerato i processi digitali evidenziando ancor più la necessità di regolarne le dinamiche tra gli Stati.

Francia e Italia, autonomamente, si sono mosse per realizzare una Digital Service Tax.
È evidente che andare avanti da soli espone a “retaliation” e le ritorsioni sono un rischio rilevante per la nostra economia, anche considerato che il gettito stimato potrebbe essere inferiore alle attese. Serve, quindi, coordinamento a livello europeo ma soprattutto serve sul piano internazionale.

Dal punto di vista negoziale il fatto che alcuni importanti Paesi europei, Francia e Italia per l’appunto, si siano mossi anche singolarmente mi sembra un ottimo stimolo a cercare una sintesi Europea che consentirebbe di trattare con gli Stati Uniti e la Cina in modo più ordinato ed efficace.

L’Europa attraverso la sua leadership in campo regolatorio, infatti, deve riuscire a imporre un dialogo, per esempio a livello di Wto, e contemporaneamente dovrebbe affrontare e superare il problema delle legislazioni di favore di alcuni suoi Paesi membri, in particolare Irlanda, Lussemburgo e Olanda.

Il motivo di questa necessità per l’Italia è presto detto e sconsiglia il fai da te: la definizione della base imponibile è complessa ed è accompagnata da un’articolata lista di esclusioni che rende evidente l’obiettivo di colpire essenzialmente i Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon), tentativo che non appare del tutto riuscito.

Senza contare le evidenti controindicazioni per quello che riguarda i possibili effetti sulla competitività delle imprese locali, sulla trasformazione digitale dell’economia e al rischio che gli oneri vengano quasi interamente scaricati sui consumatori.

Ipotesi diverse, quali la ripartizione dei profitti tra i paesi coinvolti nelle attività oggetto dei business, possono e devono essere studiate, ma all’interno di una più ampia discussione che è in atto anche in sede Ocse.

Il ruolo dell’Italia dev’essere oggi quello di evidenziare l’assoluta necessità di regolare la tassazione dei servizi digitali transnazionali e di accelerare gli accordi internazionali in ogni sede.

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