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Alcune riflessioni brevi sulla parità di genere

Credo che ci sia una concezione completamente sbagliata del concetto di “parità”. Ossia, che si consideri la cosa come una mera questione matematica. Non è così. Ci sono realtà che conosciamo bene, di circoli per esempio, che non hanno donne iscritte – all’estero, per esempio è purtroppo una cosa non rara – e allora la parità intesa come matematica non è applicabile.
 
Si potrebbe dire: saranno incentivati a fare iscrivere più donne. Nella teoria, ma nella pratica la soluzione immediata e più pratica, è fare iscrivere mogli,figlie, nipoti e via dicendo. E allora chiedo, come ho già chiesto: questa sarebbe una “parità” accettabile e rispettosa del ruolo della donna? La mia risposta è no.
 
La parità non è un concetto numerico, è una questione prima di tutto valoriale. Il fatto, cioè, che nelle possibilità di accedere a determinate funzioni donne ed uomini abbiamo un pari trattamento. La parità è una questione che riguarda anche gli uomini. Nel 2013 nelle mozione Civati avevamo parlato della questione maschile. Il concetto di parità di genere infatti deve essere un problema sentito da donne e da uomini.
 
Il fatto che il PD non esprima donne ministre non significa che non le abbia proposte. E questa è la comunicazione ufficiale: la scelta non è stata fatta da Zingaretti o dalla Presidente Cuppi. Ci si può credere o meno. Sentendo come è andata a Carfagna e alla Lega pare che il modus operandi di Draghi sia stato abbastanza simile in tutti i casi.
 
Detto ciò, il problema della parità di genere non lo risolviamo come dicevo con una questione di aritmetica, e non credo nemmeno che 1 donna ministra con 2 uomini ministro avrebbe rappresentanto la realizzazione della parità.
 
Serve il coinvolgimento reale ed attivo delle donne nella politica – così come per minoranze etniche o per le persone LGBT – e dunque dare loro visibilità e offrire una reale capacità d’incidere nelle scelte politiche. Serve autonomia, affinché la scelta di “donne” in certi ruoli di responsabilità non discenda dall’alto, dove si trovano – again – gli uomini. Anche in questo caso, sarebbe parità? No, non credo. Sarebbe una sorta di concessione (Forza Italia è un esempio in questo senso, dove Berlusconi ha deciso chi faceva cosa e quando).
 
Serve una coalizione tra questi gruppi, nella società civile e nelle organizzazioni partitiche. L’Italia è indietro da tempo, fatica a colmare questi gap.
 
Il fatto che Forza Italia abbia proposto 2 donne su 3 nomi, non ne fa un partito né femminista, né con piena realizzazione di parità. La concezione della donna, come l’abbiamo conosciuta, da parte di Berlusconi ed altri, mi sembra fosse tutt’altro che emancipata. Detto ciò, nell’apparenza certamente emerge una discrepanza. Sono però ministre senza portafoglio. Anche questo, dovrebbe contare nella riflessione.
 
Il principio di parità non può essere una questione aritmetica, ma deve essere una rivoluzione culturale ed organizzativa. Ci sono casi in cui circoli o gruppi hanno il 60% di donne, in nome della “parità” saremmo costretti a dire, in questi casi, che bisogna togliere delle donne e metterci degli uomini, per rispettare il principio di “parità” intesa come 50-50.
 
Credo che sia il concetto stesso di parità da rivedere in toto. Non partità, ma equità forse? Non so se risolve questo fraintendimento. O semplicemente accogliere l’idea che la matematica in questi casi non può aiutare, ma serve molto di più.
 
Infine, la reazione delle donne democratiche è secondo me giusta e positiva per il PD stesso, perché tematizza in modo forte un problema – culturale – e chiede che ci sia una risposta politica chiara. Ed è un percorso che parte dal basso, dalle donne stesse, quindi è genuino e positivo.

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